Immigrati e integrazione

Il fenomeno dell’immigrazione è una realtà in continua crescita. Ogni giorno i mass media ci informano di nuovi sbarchi o nuovi avvistamenti presso le coste di Lampedusa.
Gli immigrati sono persone sospese tra due mondi. Questo stato di sospensione alimenta una condizione di fragilità identitaria che può sfociare in una forma psicopatologica. L’eliminazione delle originarie caratteristiche culturali dell’immigrato potrebbe fare aumentare il suo malessere.
Emigrare significa perdere l’involucro identitario costituito da luoghi, odori, colori, suoni e contatti originari; proprio l’insieme di questi elementi forma l’humus che permette al funzionamento psichico di non deragliare.
L’apparato psichico si organizza solo a patto di rimanere immerso nell’ambiente d’origine che garantisce il senso d’identità psichica e culturale dell’individuo. La cultura è la struttura, l’involucro sociale che contiene e rende possibile il funzionamento dell’apparato psichico.
La migrazione è un’esperienza incisiva che contribuisce a modificare l’omeostasi dell’ecologia mentale dell’individuo. Se la cultura da un lato può difendere e proteggere l’individuo, dall’altro proprio la perdita della cultura stessa (come avviene per gli immigrati) può diventare traumatica per soggetti che sono profondamente legati ad essa. L’esperienza migratoria ha in sé un valore traumatico, non soltanto quando si realizza nelle sue forme più drammatiche, come nel caso degli sfollati o degli esiliati politici.
L’immigrazione è un fenomeno sociale ed individuale complesso, capace di produrre disagi e sofferenze, in qualsiasi forma il processo migratorio si realizzi: esso, infatti, implica il distacco dal proprio ambiente, l’impatto con la diversità, con le reazioni di ostilità e di esclusione messe in atto dalla società di arrivo. In individui poco integrati, lo stress risulta avere un impatto negativo sulla salute fisica e mentale. Una cultura può essere considerata, anche come un sistema di protezione e mantenimento dei valori la cui disintegrazione ha effetti deleteri sui membri. Una cultura, con ottime capacità di reazione di fronte a stress ambientali e poco incline al cambiamento, protegge i soggetti che vi appartengono dall’impatto potenzialmente profondo delle esperienze traumatiche, fornendo loro sostegno sociale, identità (sotto forma di norme e valori) e una visione condivisa del futuro. Quanto influiamo con i nostri pregiudizi sulla possibilità che gli altri, nel senso etimologico del termine, diventino individui emarginati dalla società? Quanto accettiamo che qualcuno venga da un altro paese per lavorare in luoghi dove la disoccupazione è una piaga che segna profondamente la nostra vita? Lo Stato tutela il cittadino straniero? Quanto è giusto, nell’ottica dell’integrazione tra etnie e popoli, snaturare le persone che non fanno parte della nostra cultura delle proprie tradizioni, abitudini, connotazione culturale e quanto, invece, sia importante tutelare la sicurezza delle persone, pretendendo che esse possano essere identificate, non celandosi dietro maschere, veli ed abbigliamenti vari?
Integrazione significa essere tutti uguali davanti alla legge, conformandosi sicuramente alle leggi dello Stato del quale si diventa cittadini e acquisendone diritti e doveri, ma anche necessariamente perdere la propria identità sociale ed etnica? Occorre interrogarsi dal punto di vista sociologico e giuridico, tentando di giungere ad una mediazione che salvaguardi la sicurezza pubblica, in una società che sarà sempre più multietnica, in qualunque parte del mondo ci si trovi a vivere, salvaguardando l’identità delle persone e dei gruppi sociali.

1 giugno 2017 – © Riproduzione riservata
Facebooktwittermail