Il sapore della vacanza | di Kathia Giordano

Aveva stretto i denti ed era arrivata all’estate stremata dopo un anno allucinante di paure, malattie, ansie e preoccupazioni. Aveva fatto la valigia frettolosamente, buttando dentro a casaccio vestiti, sogni e speranze. Non amava partire. Lasciare la sua casa, i suoi ninnoli, i suoi rituali, le provocava sempre malinconia. Ogni anno chiudeva la porta con la consapevolezza di dire addio ad una fase della vita per iniziarne un’altra. Era stato sempre così, sin da piccola. Sempre. Tranne quell’anno. Aveva lasciato che la porta la chiudesse il marito e si era quasi precipitata in macchina, desiderosa di lasciarsi alle spalle tutto il dolore e il buio e la fatica degli ultimi mesi. Non aveva messo neanche l’acqua alle piante. Al rientro avrebbe trovato il deserto sul suo balcone fiorito, ma andava bene così. Non aveva più la forza di un tempo ed eliminava dalla sua quotidianità cose, persone e incombenze che potevano diventare zavorra. 

La traversata era stata agitata, il mare un po’ grosso nei suoi sogni si era trasformato in un vero e proprio naufragio e aveva salutato l’alba con sollievo malgrado una violenta emicrania. Era pronta per una nuova avventura con l’animo di un bimbo che si affaccia alla vita. I suoi anni cominciavano ad essere tanti, ormai, ma in Sardegna ritornava bambina e si riconnetteva col suo Io selvaggio, quello che nascondeva quando si trovava nel continente. Si lasciava sopraffare dall’emozione ogni volta che vedeva le dune di Capo Comino bianche, costellate di gigli di mare e maestose e ai loro piedi la vastità del mare con tutte le sfumature di blu che l’occhio umano possa riuscire a percepire. Tornava da nove anni allo stesso posto per il desiderio di mettere radici da qualche parte, ma ogni giorno esplorava posti nuovi assecondando il suo animo di viaggiatore mai sazio. Prediligeva da sempre le spiagge defilate, solitarie, dove poteva ascoltare i suoi pensieri accompagnati solo dal canto delle cicale e dal rumore incessante delle onde. 

Era domenica, il cielo era grigio, c’era molto vento e aveva deciso di restare a casa l’intera giornata. Si era rifugiata sul terrazzino della camera da letto che era più riparato e con lo sguardo cercava il mare all’orizzonte. Lo guardava attraverso i lunghi rami fucsia di una bouganville che ondeggiava e si fletteva senza tregua per non spezzarsi. Era lì, meno azzurro del solito, che l’aspettava paziente per raccontarle cose di lei che ancora non sapeva. Si erano dati appuntamento a quando sarebbe tornato il sereno, mentre una folata di vento le scompigliava i capelli sbiaditi dal sole dei giorni precedenti.  I ragazzi si erano alzati per fare colazione, alcuni vicini erano usciti in giardino e chiacchieravano di musica, di cinema e dei tempi andati della gioventù ascoltando “Domani è un altro giorno” della Vanoni, mentre dalla casa di fronte uscivano rumori di tegami e stoviglie. Come sempre la realtà prendeva il sopravvento sui sogni e i suoni zittivano il silenzio. Non era pronta, ma forse non lo sarebbe stata mai. Si era alzata e aveva vestito di nuovo i panni della brava massaia che le stavano stretti da sempre e aveva dato inizio ad una giornata come tante altre, che non aveva per niente il sapore della vacanza.

31 luglio 2021 – © riproduzione riservata

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