Il presidio della dignità
[di Andrea Laganà]

Raccontare lo stato d’animo di chi ha vissuto da protagonista il presidio dei dipendenti della Cooper Standard di Battipaglia è assai complesso, ma allo stesso tempo di una semplicità disarmante. Portare per mano voi lettori su quel piazzale o sotto quella tenda, significa leggere, ascoltare la disperazione, l’incertezza; toccare con mano la paura del domani. Vedi occhi gonfi di notti insonni. Vedi sguardi bassi di rassegnazione. Vedi la mitezza e l’orgoglio di un gruppo di colleghi fattosi famiglia nella difficoltà. Non esistono categorie, mansioni, capi, ingegneri, maglie celesti, blu, verdi: esiste la famiglia Cooper Standard ora. Sguardo basso, è vero, ma testa alta di chi sa di aver svolto il proprio lavoro con costanza, impegno; venendo incontro, sempre, alle richieste che giungevano dal “padrone”, da chi sta più in alto. Lo stesso “padrone” che oggi non ha ripensamenti a voltare le spalle ai lavoratori. Questo è il rammarico più grande.
La comprensione, la solidarietà, parole di cui tanto ci si riempie la bocca in questi casi, sono effimere, illusorie: una parola di conforto, una bottiglia d’acqua, una tenda, non riempiono la tasca. L’egoismo snaturato del genere umano tende a non comprendere fino in fondo il dolore di 375 persone, e con loro di 375 famiglie. Solo chi ha vissuto sulla propria pelle il dolore di perdere il posto di lavoro può comprendere fino in fondo il peso di queste parole. Non è un caso al presidio si siano alternati con educazione e rispetto operai, ma prima ancora uomini e donne, di aziende già dismesse come la Fos, la Treofan, l’Alcatel. Le loro parole, le loro pacche sulle spalle hanno un valore e un peso diverso rispetto a quelle dette da chi non ha vissuto il dramma di dover rientrare a casa, guardare la propria famiglia negli occhi e raccontare quello che stava succedendo, ma soprattutto quello che sarebbe successo da oggi in poi.
Basta chiederlo ad Alessio P. che oggi non è al presidio perché è andato, con estrema dignità ed orgoglio, ad aiutare un amico in una ditta di traslochi; oppure a Matteo P., sempre presente giorno e notte, con una bimba bellissima e un’altra in procinto di arrivare; o a Miriana P. che solamente un mese fa si è sposata convinta di vivere un futuro sereno in un’azienda solida. Giovani, figli di questa terra, travolti improvvisamente da uno tsunami. La desertificazione della zona industriale passa anche da quel presidio e da quelle due tende montate in fretta e furia l’11 settembre scorso: giorno nefasto e simbolico allo stesso tempo. Sapere di avere la propria vita nelle mani altrui, di persone sostanzialmente sconosciute, lascia inermi, impotenti. Rosario I. vive nella rassegnazione di un futuro già segnato; Dario P. ha un assegno di mantenimento che non aspetta proroghe; Walter V. ha la rata del mutuo, così come Cosimo B., come Giovanni P. e come tanti altri. I ragazzi, le ragazze, gli uomini e le donne della Cooper Standard hanno dimostrato dignità da vendere a peso d’oro nonostante il macigno della perdita del lavoro pesasse sulle loro teste.
11 ottobre 2025 – © riproduzione riservata





