Il palo nell’uovo

[di Ernesto Giacomino]

Parrebbe fatta, alla fine: autunno nuovo, lampioni nuovi. La profezia si è avverata, quell’incredibile racconto dei nonni davanti al fuoco nelle serate d’inverno (“un giorno leverete la testa al cielo a via Mazzini e settanta volte sette l’oscurità sarà spezzata da dardi fiammeggianti”) è divenuto realtà. Quelle cose, insomma, tipo lo sbarco degli alieni o lo scongelamento dei poli o il quinto mondiale di calcio, che sai che succederanno ma non t’è dato saperne i tempi. E quindi, quando poi si realizzano, rimani comunque spiazzato. Disorientato, confuso.

Reazioni, allora. Tante, diverse, contrapposte. Un universo d’opinioni e considerazioni talmente eterogeneo da aver indotto l’Anthropology University of Salamanca a istituire un apposito pool di ricerca per individuare e classificare in fenotipi ben definiti le critiche del cittadino medio.

Al primo posto, ovviamente, c’è lui: lo scienziato. Quello che ne capisce perché oltre che all’università della strada ha studiato alla Scuola Radio Elettra dell’oratorio, per cui la tecnologia usata è sbagliata perché non cauterizzata nell’emiciclo del substrato ionizzante dell’armocromia socio-urbanizzata, e quindi bleah, brutto lavoro, soldi buttati. Per capirci: questo è quello che a sei metri di distanza riesce a vedere i led dietro il portalampada e a individuarne il produttore, la moglie, i figli illegittimi e la data precisa in cui non funzioneranno più (i led, non i figli illegittimi).

In una posizione diametralmente opposta troviamo invece l’entusiasta, che da dieci giorni è fermo ad applaudire sotto il lampione all’incrocio tra via De Gasperi e via Paolo Baratta. Si fa i selfie, invita gli amici da altri comuni, scrive post su Facebook elogiando le misure del cono di luce. Leggenda narra che bivacchi sul posto con brandina e colazione a sacco, attendendo il calare della sera per accoglierne ogni volta l’accensione con “ohooo!” di meraviglia e sventolio di bandierine con la scritta, a caratteri cubitali, “ora si può”.

A metà tra i due, poi, lui: il nostalgico. Quello che a prescindere è contro la modernità, disdegna le nuove tecnologie, rimpiange il bus verde a elettricità col capolinea a piazza del Popolo e la pizzetta al bar Venezia dopo la messa delle nove. A chiunque gli capiti a tiro recita la solfa sul fascino dei vecchi lampioni a tre palle: perché non ripararli e lasciarli dov’erano, dice, in posti come Asmara o Tripoli ce ne sono di modelli uguali e resistono da oltre ottant’anni. Che comunque c’era affezionato, lui, giacché sotto una di quelle palle eternamente fulminate ha chiesto alla fidanzata di sposarlo, e lei grazie all’oscurità non l’ha visto bene e ha accettato.

Infine, l’ultima categoria. Quella più spocchiosa e urticante: il pragmatico. Gente che nella vita s’occupa d’altro e non s’intende di legge di Ohm e corpi illuminanti; a cui basta avere una visibilità decorosa e la percezione d’un abbassamento del rischio di scippi e bottigliate col favore delle tenebre. Sempre di meno, ovviamente, questi qua: tizi noiosi che tacciono, che prima di giudicare aspettano chissà cosa, che s’accontentano della mediocrità del possibile. Assolutamente inutili, insomma, per una società alimentata a rumore. 

23 settembre 2023 – © riproduzione riservata

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