Il mio rombo di tuono | di Michele Gioia

L’amore viscerale per il calcio me lo ha trasmesso mio padre, difensore arcigno, un “picchiatore”, uno di quelli che tiravano la linea a terra e dicevano all’attaccante avversario che quella linea non si oltrepassava, uno di quelli che guai a toccargli un compagno di squadra. Un uomo all’apparenza burbero, solitario e onesto. I suoi idoli calcistici erano due: Franz Beckenbauer e Gigi Riva. Il primo lo amava perché difensore come lui e perché lo riteneva in quel ruolo il più forte del mondo. Il secondo lo amava perché in lui si riconosceva: stesso carattere, stessi ideali, stessi valori, stessi silenzi e solitudini. Del primo porto il nome! Era così innamorato di Beckenbauer che a mia mamma incinta disse “Se è maschio lo chiamo Michele Gioia Franz”. E così fu! Mia mamma non poteva credere che lo avesse fatto davvero! E invece, tra lo sbigottimento generale suo, dei miei nonni e di tutta la famiglia, all’anagrafe mi registrò con il nome di Michele, Franz. Michele come mio nonno, Franz come Beckenbauer; e da lì è partito tutto.

Non mi ha mai indirizzato verso il calcio, è stato un percorso naturale e forse non poteva essere altrimenti. Ho giocato a calcio per tanti anni, l’ho fatto nella Spes, prima di farlo nel grande Piacenza tutto italiano, e in tante altre squadre. Ero un “medianaccio” che correva e picchiava come un fabbro ma, nonostante un raduno con la nazionale under 19, non ero bravo abbastanza per giocare a calcio a certi livelli. 

Mio padre non mi ha mai fatto un complimento, anzi, al contrario, le rarissime volte in cui ha parlato con me di calcio, mi ha sempre detto di pensare a studiare perché il calcio non faceva per me. Di questa cosa ne ho sofferto e solo con l’età e la conoscenza sempre maggiore di mio padre, ho compreso il perché e ho rimosso la rabbia che mi portavo dentro.

Non ho mai amato i tedeschi, in questo credo che un ruolo fondamentale lo abbia avuto mia mamma, e così è stato naturale scegliere tra i due. Il mio idolo è stato Gigi Riva, sin da ragazzino. L’ho perfino tatuato sulla pelle! L’ho scelto soprattutto per i racconti di mio padre (che lo aveva “visto da vicino” a Cagliari quando era marinaio) ed è diventato subito l’esempio a cui tendere, in campo e fuori. 

La notizia della sua morte mi rende infinitamente triste. Da oggi sono più solo, muore un pezzo della mia vita e della mia storia; non c’è più chi mi teneva compagnia nelle notti in collegio a Piacenza, sul campo di calcio e nella vita di tutti i giorni.  Sono triste perché vedo mio padre invecchiato; mio padre che con Gigi Riva era ed è il mio punto di riferimento.

Arrivederci Gigi, nel nostro cielo un rombo di tuono.

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