Il linguaggio non verbale

Con questa terminologia indichiamo il complesso di segnali corporei (gestualità, mimica, postura, prossemica, uso dello sguardo, respirazione) e vocali (tono e timbro di voce, velocità nel parlare, pause, tipo di fraseologia utilizzata) che accompagna il verbale, ossia il contenuto delle parole. Il non verbale, in alcune circostanze, sostiene quanto detto a parole, potenziando, così, il messaggio. In altre, al contrario, lo contraddice e lo indebolisce.
Nella fase di esordio di una relazione gli elementi non verbali prevalgono su quelli contenutistici. Quando conosciamo una persona, ad esempio, restiamo colpiti prima dai suoi atteggiamenti e poi da ciò che dice. Tant’è che, spesso, essendo troppo attenti al non verbale, ci lasciamo sfuggire il nome con cui quella persona si è presentata, rischiando poi sgradevoli equivoci.
Tale priorità si irrobustisce in proporzione all’incremento del valore che assume, per i partecipanti, la relazione. Accade, ad esempio, durante un colloquio di lavoro oppure durante un dibattito in pubblico. O quando ci si avvicina ad una persona che si ha particolare interesse a conoscere. Così come, pure nell’ambito di un rapporto solido e duraturo, una fase di cambiamento, momentaneo o meno, è segnata particolarmente da specifici atteggiamenti non verbali degli interessati più che dalle parole.
Con il proseguire della relazione altre variabili, dal nostro punto di vista, prendono il posto del non verbale nel determinare il successo o meno della comunicazione. Il linguaggio del corpo mantiene certamente il suo inevitabile valore, ma cominciano a diventare determinanti i contenuti: chi parla in pubblico, ad esempio, superata la fase in cui coinvolge l’uditorio mediante un accurato non verbale, deve mostrare e dimostrare a parole ciò che pensa, dice e vorrebbe dire rispetto all’oggetto ed agli obiettivi della comunicazione.
Solo se tali contenuti sono congruenti con gli scopi e le aspettative di chi ascolta, l’oratore continuerà ad attirare su di sé l’attenzione della platea. L’affermazione del non verbale come elemento unico e fondante della comunicazione efficace ha trovato, e tutt’ora trova, il suo sostegno in alcuni orientamenti socio-culturali tipici della società post-moderna. In un ambiente socio-culturale schiacciato sul presente, come viene definito dai critici della post-modernità, il linguaggio non verbale è diventato lo strumento privilegiato di osservazione, analisi e diagnosi dell’agire umano.
Il linguaggio non verbale rappresenta il materiale da cui ha origine la comprensione dell’altro, ma non la conclude. Trascurare i contenuti e non tenere conto dei contesti relazionali conduce spesso a comportamenti dagli esiti indesiderati dopo i quali o si rinuncia o è tutto da ripetere. Etichette quali introverso, timido, espansivo, manipolatore et similia generalizzano, senza alcuna fondatezza, uno specifico atteggiamento.
Etichette, tra l’altro, che non si limitano ad una descrizione formale di un comportamento, ma pretendono di dire com’è quella persona. Se non addirittura chi è. Comprendere un comportamento, anche minimo, non richiede necessariamente processi analitici ed introspettivi, ma resta accessibile comunque solo attraverso un’attività di osservazione ed ascolto.

5 maggio 2017 – © Riproduzione riservata
Facebooktwittermail