Il gatto assassino | di Miriam D’Ambrosio

Ho spinto il cancelletto e sono entrata nel cortile avviandomi verso il portone, all’improvviso una scena raccapricciante si è palesata ai miei occhi: un gatto stava rincorrendo un piccione, con l’intento evidente di papparselo. Un gattaccio grigio, magro, con lo sguardo fisso sulla preda, sui baffi aveva delle piume che aveva strappato all’uccello; costui era indebolito e indifeso, con il sangue sul collo; sfinito dagli attacchi del gatto non riusciva più a volare. Era lì davanti a me che saltellava cercando di salvarsi. Inorridita, ho cercato di allontanare il gatto gridandogli: “Vai via!”.
Ma quello non si allontanava, mi guardava e quatto quatto si avvicinava sempre più al piccione, lo fiutava e mi guardava, io gli dicevo: “No, lascialo stare!”. Poi ho affrettato il passo, capivo che era inutile il mio intervento. Il piccione mi seguiva e il gatto dietro; io cercavo di guadagnare il portone il più in fretta possibile perché non volevo assistere alla scena dell’assalto finale. Alla fine sono arrivata al portone e ho premuto il pulsante del citofono, non vedevo l’ora che mi aprissero, anche il piccione trascinandosi era arrivato al portone che finalmente si era aperto. Ho tentato in extremis di spalancarlo per farlo entrare e mettersi in salvo, ma lui non ce la faceva più. Allora sono scappata dentro, lasciandomi l’assassinio alle spalle. Avevo negli occhi quella scena spaventosa che mi aveva tanto scossa e che non riesco a togliermi dalla mente.

6 novembre 2020 – © Riproduzione riservata

Facebooktwittermail