Il bicchiere mezzo piano
[di Ernesto Giacomino]
Che bella, questa Battipaglia in pieno restyling, no? Rotatorie, sottopasso, tubature nuove, rifacimento (ennesimo) del passaggio pedonale di piazza Amendola, minicantieri privati piazzati un po’ a cavolo dappertutto (che tanto, mo’, vai a individuare chi rompe cosa. E soprattutto perché).
Infrastrutture col giusto botulino e una buona dose di sacrificio; tant’è che s’aspetta solo di togliere le bende per vedere se ne è valsa la pena o se, nonostante i disagi, continueremo ad avere il solito setto deviato o lo zigomo ancora poco pronunciato.
Purtuttavia, per la legge del contrappasso, c’è sempre quel momento di riflessione sui nuovi lavori che partono, e i vecchi lavori che… boh.
Per dire: non lo so, non ho idea se siano scaduti i termini di prescrizione per poter riparlare del Castelluccio senza essere nuovamente accusato di “sprovvedutezza cronistica”. E nemmeno, in verità, voglio portarmi addosso il peso morale d’un qualche altro crollo tempestivamente spontaneo di questa o quell’ala del monumento.
È che, semplicemente, ormai a un anno di distanza dal “chi so’ io e chi si tu” che ha impazzato sulla stampa locale, mi avrebbe intrigato parecchio conoscere per bene lo stato dell’arte a oggi, che si è fatto, che si farà, che dice il commissario, che ribatte il proprietario, che ne pensa la gente. Ma niente: salvo qualche sporadica notizia sui vincoli della Soprintendenza, perlopiù se ne tace. Dov’era l’ombra, or se la quercia spande morta. Cioè, no: più che una quercia, una gru. Sta là ritta e impettita da mesi, immobile, spuntone gotico di ferro messo a rigare in due il po’ di cielo che sbuca alle spalle della collina. Vorrei saperlo, lo stato dell’arte di cotanti lavori, ma non indago. Hai visto mai qualche altra speaker dall’insulto facile.
In verità questa storia della gru fissa sulla collina è pure esteticamente gradevole, no? Una mini Tour Eiffel, dai colori appena appena più accesi. Forse potrebbe rappresentarci ancora più del Castelluccio stesso. Il miracolo, il connubio improbabile tra terra e mura, ortaggi e cemento, guerra e pace, lima e raspa. La surrealtà fatta regola, e messa a statuto.
Che ne so, allargando il campo si potrebbe pensare d’installarne altre, di gru, sparse un po’ ovunque nella città. Fare una cosa tipo Roma con gli obelischi, tutti lì a ricordarci che si stava a ricostruire l’Impero e se non fosse stato per gli inglesi impiccioni oggi gli immigrati saremmo noi.
Si potrebbe lanciare una campagna, tipo il book crossing. Inizio a impiantare un cantiere, poi lo chiudo, dimentico la gru bella eretta da qualche parte. Un po’ come quella che costeggia la ferrovia dalle parti di via Primo Baratta, per capirci: bella, maestosa, vivace. Solo, inamovibile da anni.
Ecco: sarebbe bello se il gioco, lì, continuasse. Qualcun altro la prende, la usa un po’, la sposta di qualche centinaio di metri e la abbandona altrove. Cosicchè possano goderne tutti, e non solo pochi eletti, di questa visuale nuova, atipica, che in uno celebra origini e disfatta della nostra comunità.
Per Natale fatti un regalo speciale, quindi: adotta anche tu una gru. È fedele, silenziosa e non sporca. Le manca solo la malaparola: ma a questo, s’immagina, rimedierai tu.