I posti davanti

[di Umberto Faenza]

Nella stanza minuscola in cui c’eravamo sistemati, era difficile non vivere il momento. I pensieri venivano processati uno dopo l’altro, le sensazioni stampate all’istante. Il poco spazio a circondarci se ne impregnava, e noi, solo due ragazzi lontani da casa, respiravamo la vita corrente.
Ecco, quella è una cosa che non si ignora, se scegli di andare. Anzi, se ci provi, quella poi ti martella il cervello, lo stomaco, le gambe. Una volta che sei arrivato, sei costretto a sbatterci contro la faccia. Io lo stavo facendo, ed ero terrorizzato.
Francesco era il più grande tra i due, e non che ci volesse molto, ma la differenza sostanziale stava nel fatto che lui si fosse già dato da fare. Questo gli permetteva, perciò, di muoversi meglio nel mondo. Sono certo che anche lui avesse almeno un pizzico di paura, e quella fu forse la prima volta in cui osservai da vicino come l’esperienza si metta in funzione per tenerla un po’ a bada.
Ci vuole anche coraggio, certo, ma il coraggio non esclude la paura: la paura c’è e basta, ti accompagna nelle cose, ci va a braccetto col coraggio, finché si scioglie nelle azioni. 
Io che vivo nelle parole, fatico a considerarmi un tipo molto coraggioso, eppure mi rendo conto di aver fatto scelte coraggiose. Le ho fatte perché ho sentito che era il momento di fare un passo avanti, e le faccio perché per fortuna lo sento ancora. Francesco fu il primo a trovare lavoro tra i due. E fu anche il primo a farmi i complimenti, rientrando a casa, per l’odore che il mio sugo aveva dato alla cucina. A pensarci adesso, quello fu probabilmente uno dei miei sughi peggiori, ma l’altro fu di sicuro uno dei più bei complimenti ricevuti, anche solo per la gioia che mi mise addosso, e che mi serviva.
Un pomeriggio, poi, uno in cui io mi sentivo particolarmente giù, lui mi prese e mi disse: ora vieni con me. E andai, andammo. E per la prima volta vidi davvero la città in cui ero arrivato, la città che avevo scelto, la città nella quale stavo lottando per rimanere.
Quando una decina di mesi dopo, Francesco decise di andare, anche quella fu una decisione presa con coraggio: il coraggio di riconoscere il bisogno del cambiamento. 
Era arrivato, perciò, il momento di trovarmi una stanza, da solo. E così feci, e lui mi accompagnò a mettere la firma. Quando uscimmo, in ritorno verso casa, mi disse una frase che difficilmente dimenticherò. Disse: è adesso che inizia davvero la tua esperienza. 
Non lo capii subito. D’altronde avevo già un lavoro, delle amicizie, delle cose mie. Ma ora che sono passati anni, quasi dieci, da quella frase, la verità di quelle parole è assolutamente lampante.
Tornando ai primi tempi, comunque, a quando il sugo neanche provavo a farlo, a quando le mie giornate le passavo in giro con i curricula stampati nello zaino, ecco che mi ritrovai un sabato, probabilmente seduto sul letto, a salutare Francesco che usciva per andare al lavoro. 
“Ci vediamo quando torno, allora. Tu che pensi di fare stasera?” – mi chiese.
“Credo niente”.
“Manda un messaggio a Davide, no?”.
Davide l’avevo conosciuto qualche giorno prima, avevamo accompagnato Francesco ad aprire il conto. Venivamo dallo stesso posto, ma era stata la differenza d’età ad averla fatta da padrona nel farci rimanere sconosciuti. Viveva lì già da un paio d’anni, ed io entrai nella sua vita mentre si stava rimettendo – nuovamente – in gioco. No, non avrebbe cambiato posto stavolta: si era iscritto all’università. 
Questa potrà sembrarvi una scelta banale ma, credetemi, non lo era nemmeno un po’. Davide aveva sentito che era il momento, ed aveva fatto uno di quei passi avanti. 
Così, quel sabato, presi il cellulare e gli mandai un messaggio. Mi rispose tranquillamente che sarebbe venuto a bere una birra con me, e ci incontrammo qualche ora dopo. 
Scambiate due chiacchiere alla fermata, salimmo su un bus. Era di quelli a due piani, perciò ce ne andammo di sopra e ci prendemmo i posti davanti. 
Sarà un paragone stupido, ma guardare la città da quei posti è come essere in un film. Le strade pulsano, la gente vibra, mentre i grattacieli guardano giù, e ti danno la loro benedizione.
Davide alternava il suo racconto tra storie della sua vita e aneddoti sui posti che stavamo attraversando, mi raccontava del suo arrivo, ma anche di Jack lo Squartatore. Mi sentii, davvero, al centro del mondo.
Ho vissuto tante storie con Davide. Negli anni diventò non solo uno dei miei migliori amici, ma un vero esempio, e non da seguire, ma che ho seguito. Un esempio di determinazione, di riscatto, di riconoscimento delle proprie abilità, ma anche della bellezza che ci circonda.
Adesso, quando a volte mi capita di prendere uno di quei bus e di sedermi di sopra, tornano a me istantanee quelle emozioni. E ripenso a Davide, ripenso a Francesco. E mi sento vivo, respiro la vita corrente: quella che pulsa, quella che vibra, quella delle scelte coraggiose. Quella dei posti davanti.

17 luglio 2021 – © riproduzione riservata

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