Ho fatto un voto. Ma l’ho perso

[di Francesco Bonito]

Toto197Ancora poche settimane e sapremo quando si tornerà a votare per eleggere il nuovo sindaco e il consiglio comunale. Forse a maggio insieme all’elezioni europee oppure, se il Ministro degli Interni scioglierà il Comune per infiltrazioni camorristiche, nel 2015 se non nel 2016. Nel frattempo la politica è desaparecida, come testimonia il fatto che, per la prima volta dopo 196 numeri, il nostro giornale non ha una pagina dedicata alla politica cittadina. Chiuse quasi tutte le sedi dei partiti, tornati alle loro occupazioni i consiglieri comunali, scomparsi i giornaletti di propaganda. L’attività amministrativa langue, con un Commissario spesso assente e un Comune che funziona al minimo, quando non è completamente bloccato per un tilt del sistema informatico durato più di un mese. Presto sapremo se questa desolante stasi durerà ancora molti mesi o se, come d’incanto, vivremo una febbrile primavera elettorale. Da cosa dipende? Da se si voterà, ovvio. Perché dalle nostre parti la politica non è l’attività tesa a risolvere i problemi di una comunità, ma bensì è l’arte di vincere le elezioni. Per molti l’azione politica si esplica solo in campagna elettorale, dal momento della selezione dei candidati fino alla proclamazione dei risultati. Per costoro la politica è prendere voti, competere per essere eletti. Il giorno dopo lo scrutinio delle schede, finisce tutto. Comincia l’occupazione dei luoghi del potere, la spartizione delle poltrone, la gestione clientelare e privatistica della cosa pubblica. Accade così spesso che ormai ci siamo quasi abituati, riconosciamo come legittimo il diritto di chi vince a comandare invece che governare o amministrare; abbiamo persino teorizzato e giustificato lo spoils system, così chi vince prende tutto e non fa prigionieri. In realtà di prigionieri ne fa molti: tutti i cittadini.

Cosa augurarsi allora? Elezioni subito? Un lungo sonnolento commissariamento? L’arrivo del Messia? Niente di tutto questo. Forse sarebbe il caso di usare questo tempo di attesa per ricostruire una dialettica politica seria e proficua, con la rinascita di organizzazioni che possano far crescere consapevolezza e partecipazione, e contribuire alla formazione del consenso e alla selezione di una classe dirigente decorosa e onesta. Senza un gruppo di persone capaci e preparate non si risolvono i problemi della nostra città, come del nostro Paese; non esistono soluzioni semplici di problemi che sono diventati sempre più complessi. Non è più il tempo dei capi carismatici o dei salvatori della patria: ne abbiamo avuti e abbiamo visto i risultati. É finita la stagione dei capibastone che spostano i voti su questo o quel candidato, dei candidati che “fanno voti” pagando le bollette o accompagnando l’amico “sul Comune” per sbrigare quella pratica urgente. Cambiare è l’unica via d’uscita da una crisi politica che dura da troppi anni.

Che si voti tra quattro mesi o tra due anni non importa, non ci sono alternative: cominciate a darvi da fare, ma per Battipaglia non per ’o cumpariell’ che si presenta.

16 gennaio 2014 – © Riproduzione riservata

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