Gorgoglìo e pregiudizio

[di Ernesto Giacomino]

È dura, da quando gli immigrati vengono a Battipaglia e non sono più tutti reclutati dal mercato parallelo per la vendita di griffe contraffatte o musica pirata. Come dire: erano simpatici, prima, no? Erano divertenti, spigliati, affidabili, amiconi. Fratelli. Belli piazzati in quegli angoli strategici della città, un occhio alla mercanzia nel borsone e l’altro a scongiurare l’assenza di pattuglie per strada. Ci si teneva proprio, a fermarsi per salutarli. A scambiare due chiacchiere, a offrirgli il caffè.

Per carità: erano sfruttati anche quelli, eh, immessi giocoforza in un circuito d’illegalità organizzata in cui o vendevano così o non tiravano su neanche gli spiccioli per mangiare. Però, come dire: era un bel settore frivolo e luccicante, quello. La moda, l’illusione d’indossare la stessa, costosissima marca di scarpe dell’amico invidiato spendendo l’equivalente di qualche pacchetto di sigarette. La consapevolezza di poter essere super-padri agli occhi del figlio sconsolato, semplicemente scendendo in strada e portandosi via a cinque euro il cd pezzotto con l’ultimo videogioco di guerra uscito per la tal consolle o quell’altra. Lì non la si pretendeva, l’integrazione, o la conversione alla nostra religione, l’adeguamento alle nostre convenzioni, l’adozione dei nostri costumi sociali. S’ammetteva pure – teneramente – che era assolutamente normale che non parlassero bene la nostra lingua, cosa mai andavamo a pretendere, l’importante era capirsi.

Poi, sbam, la svolta che non ti aspetti. Di quelli lì, in giro, ce ne sono sempre di meno. Sostituiti via via da conterranei simili solo all’apparenza: sempre magrebini, o subsahariani, o mediorientali eccetera; ma magari più stanchi, questi qua, meno propensi alla chiacchiera di circostanza, più con l’occhio sull’orologio a calcolare le ore di sonno possibili fra un turno nei campi e l’altro. Anche loro, chiaramente, immessi giocoforza in un circuito organizzato: magari non d’illegalità, ma spesso di sfruttamento. Non devono venderci niente, però, neanche sanno farlo. Ergo: non appagano per quattro spiccioli il nostro desiderio d’effimero. Anziché concederci la loro sorridente amicizia sudano, si ritirano sporchi di terra o calcinacci, vanno in bici per chilometri a cercare i discount economici per caricare il più possibile i portapacchi improvvisati. Tristissimi, nevvero. Specie quando non tutti hanno un lavoro decente, e allora può capitare di ritrovartene una parte per strada. E specie se tra questi qua in giro – come in ogni gruppo sociale del mondo, dai residenti di Beverly Hills alle comunità di Inuit in Alaska – alcuni appaiono inaffidabili se non sbandati. E magari finiscono per delinquere, per quanto molto meno di un numero imprecisato (ma non esiguo) di battipagliesi.

Parecchi, poi, hanno figli che vanno a scuola; che, esattamente come i nostri figli, studiano o meno, sono educati o maleducati, civili o vandali.

Ma per loro, tutti loro, la storia è diversa: devono necessariamente essere più delinquenti di noi, perché di un’altra religione. Perché hanno un background socio-culturale diverso. Perché parlano un’altra lingua.

Per cui non piacciono, questi qua. E allora concordo: rispetto a quegli altri, meritano diffidenza. Non di riceverla, però: di nutrirla.

7 ottobre 2023 – © riproduzione riservata

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