Cronaca… vera?

[di Ernesto Giacomino]

Sarà che un certo modo strillone e opportunista di fare informazione c’è ormai entrato nel dna, sarà che alla lunga il pregiudizio lo abbiamo cementato nel linguaggio come un’innocua convenzione dialettica: fatto sta che su alcuni giornali pare prendere sempre più piede l’opinabile abitudine di distinguere gli attori di una notizia in due categorie separate: “persone” da un lato, “stranieri” dall’altro. Una divisione, neanche troppo velata, che richiama alla memoria quelle vecchie e logore barricate tra i “noi” e i “loro”, o i “normali” e i “diversi”, che mezzo secolo di lotte sociali parevano aver finalmente debellato dal parlare comune.

Più in particolare, il vezzo di specificare a monte la nazionalità del protagonista di un qualunque fatto di cronaca (solo quando straniero, e peggio ancora extracomunitario; giacché, se italiano, genericamente definito come uomo o donna) pare dare al lettore un ordine ben preciso circa il peso sostanziale da attribuire alla vicenda. Se uno, prima ancora che sospetto, è un immigrato, allora sarà pure colpevole.

Così, per il semplice fatto che i protagonisti del recente massacro in zona industriale, vittima e omicida, siano entrambi di nazionalità polacca, l’approccio giornalistico alla vicenda ha fatto sì di fregarsene poco di chi fossero (quanto a vita, storia, famiglia, occupazione) gli uomini coinvolti, bastando semplicemente anteporre e sostituire al tutto il fatto che fossero “stranieri”, “ubriachi”, “abitanti in una baracca”. Di un probabile padre di famiglia ritrovatosi con la testa fracassata da un’accetta non serviva sapere altro, no? E dell’altro, l’assassino, che vai a cianciare: era uno di quegli altri, gli immigrati, i diversi. Serve sapere davvero chi fosse? Tanto, tranquilli e sorridete: a noi, i bravi tra i bravi, non potrà mai capitare. Basta che continuiamo a frequentare esclusivamente onestissima e integralissima gente italiana. Della storia di sangue che ha improvvisamente, tragicamente diviso due amici poco importa: in fondo, “finché si scannano fra di loro”, no?

Non bastasse, poi, la ciliegina sulla torta, l’accento sull’assoluta efficienza e tempestività delle forze dell’ordine locali, quelle “nostre” e italiane: “diretti dal comandante Tizio Casio sono rapidamente risaliti all’assassino”. Come dire: tranquilli, c’è chi continua a vigilare contro gli attacchi di quest’orda di barbari, guardate che velocità ed efficacia. Manca ancora il movente, magari potremmo chiederlo proprio al colpevole, ma facciamo un po’ di suspense che non fa mai male.

Peccato averlo scritto solo parecchio sotto, nel pezzo, in una riga di striscio, che l’assassino è stato beccato subito perché aveva già confessato il delitto a un amico, e questo aveva chiamato il 113.

A dimostrazione, ancora una volta, del fatto che il livello di umanità di chicchessia non si misura analizzandone l’etnia, mettendogli confini e timbrandone il passaporto, ma semplicemente osservando la qualità (personale, unica, esclusiva) delle sue azioni.

27 settembre 2013 – © riproduzione riservata

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