Cronaca di una corte annunciata

[di Ernesto Giacomino]

È così, facciamocene una ragione. Comunque la si veda, la scarsa affluenza alle urne dice che ai campani le elezioni devi mettergliele in inverno. Ché col caldo, nossignori, chiedere loro di tornare prima dal mare, e magari farsi qualche passettino all’ombra con le ciabatte ancora insabbiate, è indubbiamente una tortura da schiavisti. Al massimo, per incentivarli, si potrebbe fare come per le donazioni di sangue: votazioni non di domenica, ma in piena ora di punta di un giorno feriale. Poi, rilascio del talloncino per caffè, succo di frutta e giornata di ferie pagata. Avresti voglia, lì, di affluenze in massa. Roba da esodo biblico. Unica cortesia, in queste circostanze: evitare scuse da doposcuola tipo sfiducia, anti-voto di protesta e nichilismo costruttivo. Parlare della solita ignavia e incoscienza civica sarebbe molto più coerente. L’altro dato importante è la conferma che quaggiù le maggiori garanzie di legalità le vediamo in chi, proprio delle leggi, se ne sbatte in partenza. Ma magari è una strategia studiata a tavolino: se la sfango oggi con indagati, prescritti e corrotti, tranquilli che domani mi passano pure un casinò in costiera con gli amnistiati dell’Asinara. Una strada tutta in discesa, nevvero. E – ovviamente – illuminatissima. Il punto, poi. Chiaramente sbaglia, Renzi, a dirsi soddisfatto di queste elezioni. Sbaglia perché il Pd ha comunque perso roccaforti storiche; e sbaglia, lì dove ha vinto, a dare il merito al Pd. Un De Luca, qui da noi, avrebbe vinto pure col Südtiroler Volkspartei. Se non altro per la teoria dell’alternanza tanto cara all’italiano medio, scontento di tutto e tutti e quindi cerchio bottista per vocazione: oggi a destra, domani a sinistra, e via daccapo. Se in cinque anni di uno non ho sistemato mio nipote al Comune, vediamo se l’altro mi dà almeno il permesso per mansardarmi il sottotetto. Ecco perché tutta la storia elettorale, messa in spiccioli, è stata un sostanziale faccia a faccia tra Caldoro e De Luca, con gli altri pretendenti messi ai margini già in partenza. Come direbbe il Vasco: loro soli dentro la stanza, e tutto il mondo fuori. Ché noi – guai a ragionare in termini di onestà e capacità – la gente la si misura innanzitutto dal potere.
Sconfortanti, peraltro, i risultati battipagliesi: chi per un pelo, chi per l’intera pelliccia, questo giro non abbiamo rappresentanti in Regione. E dire che eravamo tra i comuni più strategici, per certi partiti. Ma evidentemente l’assenza di politica attiva, in questi anni, ha affievolito anche la verve dei candidati. Che te ne fai di uno scranno al consiglio regionale se non puoi farlo pesare in un consiglio comunale. Cosicché, et voilà: ettari di foreste salvate dal risparmio sul santino, manifesti contati sulle dita, orecchie sottratte ai supplizi dai palchetti. A sostenere questo o quel candidato locale non è sceso non dico il rispettivo segretario di partito, ma nemmeno un sostituto usciere della sala d’attesa di Montecitorio.

Segno dei tempi che cambiano, di giochi già fatti in partenza che nelle urne cercano solo una burocratica ufficializzazione. Ma va bene, ci può stare, ben venga se davvero servirà a cose come risanare la Terra dei Fuochi. Purché non si pensi solo a spegnerli, quei fuochi. Magari – passatemelo – con l’acqua delle solite fontane.

 5 giugno 2015 – © Riproduzione riservata
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