Clienti serpenti

[di Ernesto Giacomino]

L’altra mattina mi succedono due episodi, a distanza d’un quarto d’ora l’uno dall’altro, che definirei emblematici per descrivere come allo stallo “congiunturale” dell’attività commerciale cittadina contribuisca, a volte, anche una professionalità non ineccepibile delle nuove leve di operatori.
Il primo è in un bar nei pressi di una scuola: la cassiera-proprietaria non accetta la mia banconota da cinque euro, dice che “sembra grigia”, ne tira fuori un’altra dalla cassa per mostrarmi la differenza. Al che le faccio notare che ovvio, non è che sembra grigia, è proprio grigia, e differisce da quella che mi ha mostrato non solo per il colore ma per tutta un’altra serie di dettagli: semplicemente perché la mia è una di quelle con la vecchia grafica, stampate fino al 2013 ma ancora regolarmente in corso. Niente da fare: non la vuole. E nemmeno fa un tentativo sotto lo scanner di banconote: io sono commerciante, dice, sapete quante me ne passano per le mani, volete che non distingua i soldi falsi. 
E beh, no: mi sa proprio che non li distingui, i soldi falsi. E se hai la stessa spocchia e presunzione d’inattaccabilità delle tue convinzioni anche quando acquisti le merci per il tuo locale, è probabile che non distingui nemmeno i prodotti sani dalle fregature a buon mercato. Per cui ciao, un cliente in meno: per la maleducazione, la diffidenza gratuita e, a questo punto, per essermi totalmente venuta meno la fiducia nelle tue capacità imprenditoriali.
Mi rimetto in macchina, passa una manciata di minuti, mi ritrovo in tutt’altra zona e rione. Stavolta è il turno di un tabaccaio (anche questo antistante una scuola: mi sa che influisce anche un po’ l’aria, allora): dico la mia marca di sigarette, lui mi fa un sorriso di scherno come gli avessi chiesto due etti di bombe a mano. “No, io queste non ce le ho” mi dice poi, col tono metà paternalistico e metà comprensivo di chi ti perdona d’aver sparato una fesseria, “non le prendo, perché non le vendo”.
Ecco: in quest’ultima frase c’è la negazione totale della quintessenza propria del commerciante. Lui non prende una delle cinque marche di sigarette più fumate al mondo, semplicemente perché i suoi clienti abituali non gliele richiedono. Non sa perché io sia lì, se sia di passaggio o sia andato ad abitare in zona, oppure l’abbia appena scelto come mio tabaccaio di fiducia, e però no: deve allontanarmi, in qualche modo dirmi di cambiare aria, farmi capire che né oggi né mai potrò essere suo cliente. Perché il suo business è in quelle poche marche che già vende, quelle con cui va sul sicuro, le doppio filtro per la signora del secondo piano, quelle economiche per gli studenti che marinano la scuola, il tabacco per la pipa del pensionato di fronte. E ok, loro non vivranno in eterno, ma nemmeno lui, quindi il conto si patta e si può meravigliosamente ribaltare il dogma: la domanda che non crea più l’offerta, ma semplicemente la limita.
Tanto, al primo accenno di recessione, basta prendersela con lo Stato e le mancate misure a tutela dei loro interessi. Perché in fondo s’è visto: non fosse per la crisi, saprebbero badarci da soli. O no?

14 giugno 2019 – © Riproduzione riservata

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