Cinquanta stonature di grigio

[di Ernesto Giacomino]

Ma anche cinquantuno, o di più, o infinite. Ché si sa, quel colore là è il re delle sfumature per antonomasia: e qui a Battipaglia, ormai, a terra ce le abbiamo tutte, dal bianco sporco al quasi nero, passando per tutto un assortimento cromatico che manco il piumaggio del più variopinto dei piccioni.
Fossero degni d’un museo a parte, insomma, i rappezzi dell’asfalto qua da noi farebbero concorrenza all’Ermitage di San Pietroburgo.
Stavolta, dice, è stato per la fibra: mesi e mesi di furgoni e scavatrici in appostamento, te li ritrovavi asserragliati di botto un po’ ovunque, strade principali e vicoli sperduti, e finanche davanti al cancello di casa a sbarrarti il passo e farti maledire l’impossibile prima di poteri avviare al lavoro. Così, d’emblée, ora a nord ora a sud; apparentemente senza un piano operativo, un tabellino di lavoro, una progettazione per zone. Aplomb tipo “Facciamo come ci pare, e già sei fortunato se la sera prima t’azzecchiamo a terra un segnale mobile di divieto di sosta. Domattina prova a farti trovare parcheggiato qua e t’impaliamo sul primo lampione utile”.
E questo per parlare solo del disagio a livello di viabilità, che sommato alla paralisi ormai permanente del traffico in città ci ha dato non pochi motivi di ricorso a psicoterapia e sedute di gruppo per la gestione degli istinti violenti.
Poi c’è l’altro aspetto, quello del “rompo per aggiustare”, che qui da noi è ormai un must più degli struffoli a Natale. Storia sempre uguale, da anni: serve un lavoro sotterraneo, che sia gas o acquedotto o linee telefoniche o eccetera, arriva l’impresa, sventra tutto, impianta o ripara o cos’altro, finisce e ricopre. E no, non ho sbagliato il verbo: ricopre, non asfalta. Perché asfaltare significa qualcosina in più d’incastrare in una buca qualche etto di bitume scadente, poi spalmandolo alla meno peggio con la paletta della coppa del nonno.
E quindi: un lavoro di qua, uno di là, uno nel mezzo. E inevitabilmente, col tempo, strade patchwork sia nel colore che nel dislivello: venghino siori venghino, qui ci sono pezze d’ogni altezza, dal dosso per motocross all’avvallamento ingurgitato modello discesa agli inferi. Che pensiamoci bene: le elezioni sono appena finite, ‘sto giro prima di vedere un accenno di manutenzione (leggasi: la solita leccata di nero su qualche strada a random per fare buona impressione al politico importante) ci vorrà un’eternità.
Insomma saranno i soliti anni di ammortizzatori imprecanti, braccetti allo sbando, tacchi che si rompono, anziani che inciampano. Perché in fondo anche questa è democrazia: prima del dissesto i risarcimenti del Comune per i danni da strade sconnesse erano pietanza giornaliera, c’è gente che sfasciando macchine e rotule s’è fatta le vacanze alle Seychelles; e poi puf, più niente, rubinetti chiusi per via del riequilibrio e cause soffocate sul nascere. Come dire, si prospetta la giusta occasione di riscatto per parecchi cittadini che erano rimasti tagliati fuori: ci si rimette in pari, cosicché non si dica che a Battipaglia regna l’ingiustizia.
Le premesse in fondo ci sono tutte, e le zone in cui farsi male pure. Serve giusto quel po’ di fretta o distrazione, insomma: poi la strada farà il resto.

23 dicembre 2021 – © riproduzione riservata

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