Camino irreal
[di Ernesto Giacomino]
Una volta, tra i pochi effetti benefici del caos pre-elezioni, potevi comunque annoverare un evidente – per quanto sommario – restyling della città. Una sorta di mettersi il vestito delle feste, sciacquarsi alla meglio la faccia nell’eventualità che il politico vip di turno venisse per palchi a sostenere il suo partito.
Specie il discorso strade, poi, era un classico; s’era arrivati automaticamente a una sorta di rituale propiziatorio: almeno una volta l’anno ci si dava un’asfaltata cautelativa (erano tempi che governi e consigli periferici cadevano spesso, non sapevi mai quando farti trovare pronto), che veniva buona pure per il fatidico appuntamento col Giro d’Italia.
Ecco: se c’è un danno vero che questa nuova metodologia di comunicazione politica – fatta di assenza di comizi, di rinuncia strategica alla visibilità “fisica”, di botte e risposte sui social, di condivisioni di fake-news e sceneggiate alla Donna Luisella – ha arrecato alla comunità battipagliese, è stato sicuramente questo: le strade. Nessuno si è preoccupato, stavolta, di farci almeno pervenire, con la solita manata d’asfalto riciclato, il famoso messaggio cantato in quel tormentone di fracchiana memoria: “facciamo finta che, tutto va ben, tutto va ben”.
Questo giro pure le strade rotte, ci siamo tenuti e ci teniamo ancora. Pericolosamente impercorribili un po’ ovunque, ormai: patchwork di strati di bitume diversi, residuati bellici di riparazioni a fognature e tubazioni, crateri allargatisi sotto acquazzoni di mezz’ora come se, anziché acqua, fossero cadute le piogge acide di Venere. Certo, ad averci avuto in visita onorevoli o segretari nazionali di partito, in questa tornata, non avremmo comunque risolto niente: una rinfrescata, una colorata e via, tutto apparentemente più nuovo e più bello. Ma almeno, il problema, seppure per una parentesi minimissima, sarebbe comunque tornato alla ribalta.
E invece no, stavolta “no Martini, no asfalty”, e ci è andato di mezzo pure quel minimo di trucco e parrucco che era tradizione concederci. Siamo stati là un paio di mesi, la boccuccia aperta dallo stupore, a sentire per bar e appartamenti i candidati “vicini alla gente” che parlavano di rilancio strategico del territorio, di stranieri brutti e cattivi, di retribuzioni all’intero regno animale, di raggi fotonici e alabarde spaziali contro l’invasione aliena, mentre a un passo da noi, più semplicemente, viale della Libertà – “restaurato” meno di due anni fa – sprofondava come sabbia bagnata sotto la risacca. Mentre crepe e avvallamenti di via Mazzini o via del Centenario distoglievano turisti dai Campi Flegrei portandoli a visitare la nostra, di caldera. Mentre strade relativamente “nuove” come via Ricasoli, o via Adriatico, a poco più d’un ventennio dalla loro costruzione paiono già articoli da sommaria ricostruzione post bellica.
In realtà, quello delle strade battipagliesi e della loro scarsa tenuta è un problema strutturale, forse geologico, sicuramente più complesso di quanto sembri. Non si risolve con mastice e pezze a fuoco. E non serve neanche più, s’è visto, mettere la testa nella sabbia (o meglio, nell’asfalto) aspettando che “la politica che conta” ci dia altre occasioni per prendere tempo.