Battipansia

[di Ernesto Giacomino]

Vi assicuro che i sindaci, a volte, mi viene pure di comprenderli, ché nessuno di loro potrebbe mai avere questo vezzo suicida di mettersi davanti a un microfono e dire: “sì, è vero, c’è quel tal problema e quell’altro, lo sappiamo benissimo ma non riusciamo a venirne a capo, per ora come soluzione stiamo organizzando gruppi di preghiera e un raduno sciamanico il primo e terzo venerdì del mese, abbiate pazienza che qualcosa si muoverà”. Cioè: stessero all’opposizione, e ok; o se fossero tra i famosi “problemi ereditati dalle passate gestioni”, e doppio ok; epperò se il dramma ti sbuca in mano quando al potere ci sei tu non puoi inveire contro te stesso, rischi un danno d’immagine che va dalla poca credibilità alla molta ricoverabilità.

Per cui: minimizzi, sdrammatizzi. Annunci supercazzole tognazziane del tipo “abbiamo istituito un protocollo di procedurizzazione col substrato socio-culturale sotteso all’esigenza massiva del quid bio-criogenizzante di livello sei”, che aspetti solo che qualcuno dica “eh?” per schiacciargli il famigerato “puppaaaa!”, e tutti a pancia in mano dalle risate.

Perché se ammetto che per le strade è ogni giorno di più un saloon da far west, risse e bottigliate, furti e coltellate; se concordo sul fatto che l’illuminazione pubblica allo sbando sia ormai il complice più omertoso e fedele per scippi e aggressioni anche in pieno centro; se condivido l’evidenza che nelle periferie ci siano immondizia, sterpi ed erbacce così datati da essere entrati nel patrimonio archeologico comunale; se dico tutto questo, insomma, faccio più che autoaccusarmi: instillo allarmismo. Insicurezza, disagio. Poi valla a governare, una città esitante o terrorizzata, sarebbe un ripetersi a vita del celebre dialogo Troisi-Robertino. Invece, come cantava la Colli mezzo secolo fa “facciamo finta che, tutto va ben, tutto va ben”: soluzioni rapide non ne abbiamo, a che serve ufficializzare il problema?

E beh: magari servirebbe a tamponare i rigurgiti razzisti, per dire. A far capire alla gente che se un ubriaco importuna la gente a via Italia il sabato sera non è che si lasci indisturbato perché straniero, ma perché manca chi dovrebbe fermarlo. Che se negli antri bui della città s’ammucchia spazzatura fuori orario non è perché “arrivano da fuori a infrangere le nostre regole”, ma perché noi “di dentro”, quelle regole, non riusciamo a farle rispettare. Da nessuno: italiani, residenti, domiciliati, extracomunitari. Venusiani.

E servirebbe, questa conclamazione istituzionale della falla, anche ad altro: a responsabilizzarci, civilizzarci. Ri-normalizzarci. A non abituarci, a non finire per ritenere fisiologica la maleducazione crescente, gli schiamazzi notturni, le sgasate di scooter, i novelli guappi. Gli scambi sospetti, da una mano all’altra, a certi angoli di strada, di ragazzetti da terza liceo con troppo lusso addosso e troppi bicchieri in mano per essere il semplice frutto della paghetta di papà.

Servirebbe a questo: a farci preoccupare, e non assuefare. A scendere per strada a controllarli, i figli, e non a rinchiuderli in casa per salvarli. Ché di rassegnazione non si muore, è vero: ma manco ci si campa. Tutt’al più – ed è quello che mai si augura, a una comunità civile – ci si azzarda a sopravvivere.

3 giugno 2023 – © riproduzione riservata

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