Battipaglia tra sogno e realtà 

[di Crescenzo Marino]

La riunione fissata per le ore diciannove di sabato 21 giugno 2031, nell’aula consiliare al primo piano del municipio di Battipaglia in piazza del Popolo, stava per cominciare. Era stata fortemente voluta da Alfonso Menna, Padre costituente del nostro Comune e poi primo Commissario Prefettizio. La situazione economica, sociale e ambientale della Città era oramai talmente disastrosa e preoccupante che occorreva agire immediatamente con ogni mezzo possibile, senza se e senza ma. Non a caso si era scelta la data del solstizio d’estate, il giorno dell’anno in cui il sole vince le tenebre e, metaforicamente, il bene sconfigge il male. Attorno al tavolo di legno scuro, a “ciampa” di cavallo, oltre al Menna, tra gli altri sedevano il primo Podestà Mario D’Elia, il comunista Renato Moncharmont primo sindaco liberamente eletto dal popolo sovrano, Lorenzo Rago, che era arrivato sottobraccio a Gabriele Garofalo, e gli ex sindaci Matteo Barra, Elio Carucci, Antonino Concilio, Felice Crudele, Antonio De Vita, Vincenzo Liguori, Roberto Maffia, Sabato Mellone e Domenico Vicinanza. Erano accomodati al loro fianco anche gli ex consiglieri comunali Gegè Colliani della DC, Ercole Giordano del PCI, Andrea Longo del MSI, Elio Petrone del PSI, Pasquale Roatti del PSU e Ezio Maria Longo, già consigliere comunale e provinciale della fiamma tricolore. Lo spazio riservato al pubblico era gremito da gente comune, militanti e attivisti politici appassionati ed impegnati come Mimmo Palo, Ciccio Tufano e Carmine Battipede; da industriali e benefattori quali Primo Baratta, Luigi Pastena e Vincenzo Citro; da uomini di cultura e di scuola dello spessore di Italo Rocco, Antonio Cestaro e Raffaele Rago; da professionisti stimati e sempre disponibili come il medico Vincenzo Venosa, il farmacista Francesco Rocco e il presidente della Cassa Rurale Silvio Petrone; da artisti sensibili del calibro di Rolando Quaranta, Gianni Agnifili e Lorenzo Cicero; e in prima fila, attorniato da sindacalisti, tabacchine, braccianti agricoli e lavoratrici stagionali, il direttore dell’Ufficio di Collocamento Tonino Marino, tra i massimi esperti e conoscitori della legislazione sul lavoro nelle sue più varie sfaccettature. Tutte persone che con passione profonda, impegno civile e sociale e con il duro lavoro avevano contribuito a fare della propria città la capitale della piana del Sele e tra i primi cento comuni più produttivi d’Italia. Un boato improvviso poi accolse e salutò l’entrata in aula del Cavalier Domenico Franchini come sempre vicino al cuore e all’anima di Battipaglia e della sua gente.
Il primo a prendere la parola fu Alfonso Menna che così esordì: “Battipaglia, la mia creatura, la nostra amata terra, i suoi figli, la sua storia meritano altro, meritano molto di più e per questo dobbiamo, tutti insieme, nuovamente rimboccarci le maniche e agire al più presto, usando ogni nostra più recondita capacità intellettuale e fisica, per tornare grandi; per riconquistare il ruolo che ci appartiene e ci compete; per onorare la memoria delle 117 vittime innocenti dei bombardamenti anglo-americani del giugno del 1943 e dei martiri della rivolta popolare del 9 aprile del 1969 Teresa Ricciardi e Carmine Citro; per il bene nostro, dei nostri cari e soprattutto delle future generazioni”. L’applauso, fragoroso e prolungato, di tutti i partecipanti fece quasi tremare l’edificio. Tutti gli oratori, di destra, di sinistra e di centro, nei loro accalorati interventi, all’unisono in un condiviso grido di speranza e fratellanza, ribadirono la necessità di ripensare ad una città nuova, una città ideale libera da veleni, da interessi di parte, solidale e per vocazione accogliente. Una città che potesse rinascere continuamente nei valori, nell’ingegno, impegnandosi in imprese nuove e visionarie, risorgendo continuamente come fa il sole al mattino, mutando la scena del proprio destino, affinché da un lato l’assenza e dall’altro la novità potessero sollecitare qua la ricerca della felicità e là il desiderio del bello.
Subito dopo, nel mentre Mariano Castellano smontava i microfoni e gli altoparlanti, tutti gli intervenuti in religioso silenzio guadagnarono l’uscita e, senza che nessuno lo chiedesse, in corteo si avviarono verso il Camposanto cittadino per rendere omaggio a tutti, uno per uno, gli uomini e le donne che  nel corso dei decenni avevano impreziosito con la loro storia familiare, i loro sacrifici, la loro intelligenza e il loro sudore la Terra dei Padri e la propria comunità per poi riposare per l’eternità nel lieve abbraccio del grembo natio o d’adozione. Poi, come se una voce misteriosa lo guidasse, l’enorme corteo riprese il cammino fin quando non giunse davanti al Santuario della Madonna della Speranza accolto dal suono assordante delle campane che avevano cominciato a suonare a festa. Tutti si inginocchiarono quando il gruppo dei portatori d’azzurro vestiti, vista l’enorme folla accorsa, si affrettò a portare fuori, sul sagrato della Chiesa, la statua della Madonna acclamata con urla di gioia in scene di giubilo. Commosso, con le lacrime agli occhi, il parroco Don Giuseppe Guglielmoni chiese al Signore dei Cieli, per intercessione di Santa Maria della Speranza nostra, con una struggente preghiera sgorgata dal suo cuore puro e immenso, la protezione perenne e la rinascita nella gloria della nostra città. Per Battipaglia, ancora una volta tutti pronti a tutto, nel segno di una comunità che diventa destino condiviso in ogni tempo che verrà.

4 giugno 2022 – © riproduzione riservata

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