Autostima: come aiutare un bambino a credere in sé stesso
[di Anna Lambiase, psicologa, esperta nei disturbi dell’apprendimento]
Credere in sé stessi e nelle proprie capacità è un percorso in divenire che inizia dalla tenera età. Pensiamo a un momento ludico con i nostri bambini, in cui, ad esempio, li aiutiamo a costruire un puzzle. All’inizio diamo le istruzioni, facciamo vedere concretamente come si gioca e poi stimoliamo il bambino a fare da solo. Ecco, questo che sembra un momento di routine semplice e magari anche banale, è la costruzione di un processo intrapsichico che, nella mente del bambino, inizia a fare da imprinting per le sue esperienze future. Ha, accanto a sé, una figura adulta che funge da modello e che lo stimola verso altre esperienze. Se l’esperienza è stata positiva, il bambino vorrà ripeterla e la riproporrà anche altrove. Se l’adulto ha fatto leva sui punti di forza del bambino, utilizzando un linguaggio positivo, incoraggiante e non svalutante, come, ad esempio: “Forza, ci puoi riuscire benissimo!” oppure “Riprova, anche se hai sbagliato, devi sempre provare”, stimola il bambino a credere nelle sue capacità.
Partiamo dal presupposto che con una buona autostima non si nasce. È un processo, un cammino, in cui fondamentale importanza hanno i genitori e i caregiver, coloro che si prendono cura dei bambini. Ma da dove bisogna partire? Innanzitutto da un linguaggio positivo. Parlare ai bambini non è parlare con adulti giovani. I bambini necessitano di rassicurazione e fiducia, devono farne esperienza perché possano acquisirle. Il che non significa costruire un mondo fittizio, altrimenti creiamo il problema opposto, ovvero la troppa sicurezza. L’autostima non nasce dall’esperienza solo positiva, come erroneamente si crede. Anzi, è proprio l’esperienza all’errore che permette di costruire una propria identità più sicura. Il bambino che inizia a camminare, spesso inciampa, e quando il genitore lo sprona a rialzarsi, permette di riuscire nell’obiettivo. Il compito dell’adulto è proprio questo: far leva sulle risorse del bambino quando quest’ultimo è in difficoltà. Aiutarlo a scoprire i mezzi che ha disposizione, per poter continuare il suo cammino.
Il bambino che ha interiorizzato modelli positivi da seguire e che scopre di possedere risorse funzionali, sarà un adulto che avrà una buona immagine di sé che gli permetterà di affrontare al meglio gli ostacoli che troverà sul suo percorso lavorativo, universitario o altro. Quindi, evitiamo paragoni con coetanei o cugini, troviamo le parole giuste che possano rassicurare, rispettiamo l’identità del bambino. Rispettiamo i loro tempi, le emozioni, i pianti e le paure. Ricordiamoci i nostri trascorsi infantili, perché in modo inconsapevole ed erroneo, spesso riproponiamo il modello con cui siamo cresciuti e che può averci recato solo sofferenza. In sintesi, dobbiamo essere l’adulto di cui avevamo bisogno quando eravamo bambini.
5 dicembre 2020 – © Riproduzione riservata