Arancio dolce e arancio amaro in fitoterapia

[di Simona Otranto – Erborista]

Il periodo di maturazione dell’arancio cambia molto a seconda della varietà di appartenenza. In genere i primi frutti si raccolgono proprio in questo periodo, a novembre, mentre quelli detti “tardivi” tra maggio e giugno.
L’arancio dolce Citrus sinensis (L.) Osbeck è una pianta di dimensioni variabili, da piccolo arbusto può arrivare all’altezza di cinque metri. Originaria dell’Asia è da tempo coltivata soprattutto nelle regioni meridionali italiane. Appartiene alla grande famiglia delle rutacee e vanta numerose proprietà fitoterapiche oltre alle tante peculiarità nutrizionali. La droga è costituita dai fiori e dalla scorza. I primi hanno proprietà sedativa e antispasmodica, sotto forma di tisana sono utili in caso di insonnia e agitazione. L’infuso è molto gradevole e può essere somministrato anche ai bambini. La scorza, maggiormente aromatica, ha proprietà aperitive e digestive. I princìpi attivi caratteristici sono flavonoidi e olio essenziale.
L’arancio amaro, Citrus aurantium L. differisce dalla varietà dolce primariamente dal frutto: la superficie esterna è piuttosto rugosa e il succo, non abbondante, è molto amaro. Utilizzato anche come specie ornamentale (vedi i filari che abbelliscono via Mazzini a Battipaglia) ha note aromatiche sensibilmente differenti. Dai fiori si ricava l’essenza chiamata Néroli, usata in profumeria nonché, per distillazione, l’acqua aromatica di fiori d’arancio, utilizzata in cosmetica come tonico astringente per le pelli delicate e arrossate. La scorza del frutto viene impiegata in liquoreria come aromatizzante e tradizionalmente come eupeptico (digestivo). I frutti acerbi contengono sinefrina, una sostanza che aumenta la termogenesi e promuove la riduzione del peso corporeo. Tale principio attivo viene spesso inserito negli integratori per il controllo del peso nella quantità massima, stabilita dal ministero della salute, di 30mg per dose giornaliera. Della varietà amara possono essere utilizzate sotto forma d’infuso anche le foglie, fresche o secche, per le medesime proprietà leggermente sedative e antispasmodiche dei fiori e della buccia.
Una pratica domestica, valida per entrambe le specie, è quella di far bollire le scorze (più precisamente la parte esterna della scorza, quella che si definisce esocarpo e che generalmente buttiamo) per circa venti minuti, in una buona quantità d’acqua. In questo modo è possibile preparare un decotto dal gusto e profumo gradevole da bere in qualsiasi momento della giornata. E perché non aggiungervi anche un po’ di cannella e qualche chiodo di garofano per esaltarne maggiormente il gusto?

13 novembre 2021 – © riproduzione riservata

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