Al sole sì, ma con moderazione

Nelle interminabili giornate d’inverno trascorse in ambulatorio a visitare bambini con febbre alta, tosse, mal di gola e che si ammalano a ripetizione sento spesso madri che dicono del loro figlio: “Quest’estate gli faccio fare tre mesi di mare e lo faccio arrostire al sole!”. È ben radicato nelle nostre mamme questo luogo comune: i bambini portati al mare e messi ad arrostire al sole si ammalano meno durante i mesi invernali. Non è proprio così.  È esperienza comune per noi pediatri visitare nella stagione fredda bambini che, pur avendo trascorso una lunga estate al mare, si ammalano in continuazione. Così come bambini che, pur residenti tutto l’anno in cittadine marine, in inverno si ammalano con la stessa frequenza dei bambini che vivono in città non costiere.  I bambini, soprattutto quelli della scuola materna, si ammalano spesso non perché hanno fatto poco mare ma semplicemente perché in inverno vivono per la maggior parte del loro tempo in ambienti chiusi, ristretti, affollati, con aria secca, viziata e carica di virus, tutte condizioni che facilitano la trasmissione di infezioni. In estate i bambini vivono di più fuori casa, i contatti tra di loro sono più diradati, i bagni in acqua di mare favoriscono la pulizia delle vie respiratorie, il maggiore movimento fisico all’aria aperta rafforza le difese immunitarie. Che i nostri piccoli trascorrano le loro vacanze al mare o in montagna fa lo stesso: è lo stile di vita sano che li rinforza.
Per quanto riguarda il sole, l’espressione “lo faccio arrostire” a volte non è solo un modo di dire. Frequentemente, in estate, mi capita di visitare piccoli pazienti letteralmente ustionati. Il sole è un amico della pelle quando con i suoi raggi UV ci aiuta a produrre la preziosa vitamina D ed a controllare patologie cutanee quali la psoriasi e la dermatite atopica. Ma quando non è preso alle dosi e nei modi giusti diventa un nemico. L’abbronzatura è, in realtà, un meccanismo di difesa della nostra pelle. La cute produce melanina per bloccare i dannosi raggi ultravioletti: quelli di tipo A (UvA) si associano all’invecchiamento cutaneo mentre gli UvB alle scottature e l’esposizione ad entrambi aumenta il rischio di tumori cutanei, particolarmente il melanoma. Il 25% dei settemila nuovi casi di melanoma segnalati in Italia ogni anno, riguarda giovani tra i quindici e i trent’anni. Pensiamo che dieci anni fa la percentuale dei giovani che si ammalava di melanoma si aggirava intorno al 5%.
In un solo decennio la malattia ha subito un incremento pari al 20% nella popolazione al di sotto dei trent’anni. Tra tutte le forme tumorali questa è quella che si sta diffondendo maggiormente e con più rapidità tra la popolazione giovanile. Ogni anno 1500 decessi sono attribuibili a questa malattia così subdola. Questo aumento è legato sicuramente ad una errata esposizione al sole, alla diminuzione nell’atmosfera dello strato protettivo d’ozono dovuta all’inquinamento ed alla diffusione dell’uso delle lampade abbronzanti.
È accertato che le esposizioni intense e le scottature solari sofferte nell’infanzia favoriscono lo sviluppo del melanoma soprattutto in soggetti con fototipo 1-2 (carnagione chiara, capelli e occhi chiari, presenza di lentiggini).
Meglio quindi non far “arrostire” i nostri bimbi al sole ed attuare tutte quelle norme conosciute ma spesso disattese, utili a proteggerli: evitare l’esposizione diretta ai raggi del sole dei bambini fino ai 12 mesi di età; evitare le esposizioni solari tra le ore 11 e le 16 circa; indossare indumenti protettivi quali cappello con visiera, maglietta e occhiali; utilizzare creme solari con fattori di protezione adeguati (almeno 50+ SPF); applicare le creme solari protettive  in dosi adeguate, più volte al giorno e dopo il bagno; ricordare che in montagna il sole è più vicino, che il cielo nuvoloso permette comunque il passaggio delle radiazioni e che la sabbia e l’acqua riflettendo i raggi solari aumentano la dose di irraggiamento.

3 luglio 2015 – © Riproduzione riservata
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