Acqua fresca?

“Non ci sono prove scientifiche che questo prodotto funzioni” oppure “le affermazioni sull’efficacia di questo prodotto si basano solo sulle teorie dell’omeopatia risalenti al 1700 e non accettate dalla maggior parte degli esperti di medicina moderni”. Negli USA la Federal Trade Commission ha appena emanato una normativa restrittiva che impone di riportare ben visibili sulle confezioni dei prodotti omeopatici le suddette affermazioni. Viene cioè richiesto di dichiarare in etichetta che non esistono prove scientifiche a supporto dell’efficacia di questi prodotti e che il loro presunto funzionamento si basa su una teoria vecchia di tre secoli e non approvata dalla medicina moderna.
Tutta la medicina moderna è basata sulla EBM (Evidence Based Medicine). Il secolo XX ha assistito al passaggio da una medicina fondata sull’opinione del singolo medico, che sosteneva l’efficacia di un trattamento in base alla propria esperienza, ad una medicina basata sulle prove di efficacia che richiede una verifica e quindi una conferma oggettiva della validità di un farmaco.
Ciò è reso possibile da una rigorosa metodologia degli studi clinici che garantisce la comparabilità dei trattamenti e stabilisce l’utilità o meno di una terapia. Tale metodo ha offerto a noi medici un sicuro strumento di lavoro perché ci ha dato la possibilità di selezionare, tra i tanti che ci vengono proposti, i presidi e i rimedi più validi per la cura dei pazienti. Inoltre l’accresciuta consapevolezza delle limitate risorse economiche ha fatto maturare la necessità di selezionare gli interventi realmente validi così da ottimizzare il rapporto costo/beneficio.
A questa razionale ricerca della maggiore efficacia possibile dell’agire medico, nella realtà quotidiana si contrappone l’affidarsi di una buona parte delle persone a presunte terapie “naturali” che non è detto siano sempre sicure ed efficaci. La crescente domanda di “naturalità” ha comportato il fiorire di aziende farmaceutiche che offrono prodotti naturali tanto che i nostri studi medici, negli ultimi anni, si sono affollati di informatori che li pubblicizzano. L’incremento delle terapie alternative ha interessato anche l’omeopatia la quale si basa sulla legge della similitudine: “vengono utilizzati estratti di sostanze che sono in grado di procurare, nei soggetti sani a dosi tossiche, gli stessi disturbi che curano a dosaggi molto ridotti nei soggetti malati” e sulle teorie della “dinamizzazione” (diluizioni infinitesimali ed agitazione delle soluzioni ottenute) e dell’ormesi (efficacia delle ultradiluizioni).
Il farmacologo Silvio Garattini con i contributi di diversi ricercatori dell’IRCCS Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri nel volume Acqua fresca? Tutto quello che bisogna sapere rimarca come «non possono continuare a vendere come trattamenti sanitari prodotti che non contengono principi attivi».
Nelle conclusioni di un rapporto australiano dello scorso anno, condotto dal National Health and Medical Reseach Council, Ente nazionale per la ricerca medica, che ha effettuato una revisione di ben 225 studi scientifici sul tema dell’omeopatia si legge: «Non ci sono patologie per le quali esista un’evidenza riproducibile che l’omeopatia sia efficace». Nel report australiano si afferma che questa branca «non dovrebbe essere utilizzata per trattare condizioni croniche e serie (o che potrebbero diventarlo)» e che «persone che scelgono l’omeopatia potrebbero mettere a rischio la propria salute qualora rifiutino o ritardino i trattamenti per i quali ci sono prove di efficacia e sicurezza». L’Associazione Medica Italiana di Omotossicologia (AMIOT) ha replicato affermando che è falso sostenere che non esistono studi che dimostrano l’efficacia delle medicine non convenzionali.  Malgrado le controversie su tali terapie una recente indagine Istat colloca il nostro Paese al terzo posto sul mercato, dopo Francia e Germania, con il 4,1% degli italiani che fa uso di prodotti omeopatici.

13 gennaio 2017 – © Riproduzione riservata
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