A spiagge alterne

[di Ernesto Giacomino]

Lo confesso: il fatto della non balneabilità “a chiazze”, qua a Battipaglia, m’ammazza. Qualche centinaio di metri sì, altri no, poi daccapo. Vedi queste mappe delle spiagge locali e non ti capaciti di come faccia, un batterio o un qualunque agente inquinante, a capire esattamente dove può proseguire o dove debba fermarsi.
Oddio: certo, magari qualche lido avrà selezioni all’ingresso più rigorose di altri, ci mancherebbe. Gli investimenti in security servono anche a questo: metti un paio di buttafuori sul bagnasciuga o presso le boe, armati di microscopio, e consenti di rientrare solo a quei batteri a cui hai messo il timbrino sul polso all’uscita. E i timorati, invece, quelli che non s’avvicinano proprio, come lo sanno? Boh, sarà che si muovono con la ciambella del salvataggio, quella attraccata alla riva, a percorribilità limitata. Oppure nascono con una qualche specie di sensore; o, ancora, avranno navigatori satellitari ad hoc, tipo Google Vermaps, Munnewaze, Tom-Tonzo.
Dice: eh, ma dipende dalle zone di sverso. È storia, oramai, che nei pressi dell’Idrovora e della foce del Tusciano un tuffo a mare ti costa la trasmutazione da essere umano ad attore di Predator. Leggenda narra di pesci che cinguettano e granchi diplomati che studiano da aragosta, laggiù.
E però, sulla carta, avremmo un signor depuratore: quello di Tavernola. Recentemente adeguato e riadeguato e truccato e struccato al costo di circa tre milioni di euro, che a volerli davvero investire in chirurgia plastica ti fabbricavi ex novo un esercito personale di cloni di Jennifer Lopez. Con una cifra del genere il mare dovrebbe essere talmente lindo e trasparente da farsi i selfie e mandarli tramite WhatsApp ai Caraibi con la didascalia “gnè-gnè-gnè”. Peggio: si dovrebbe addirittura desalinizzare e imbottigliarsi da solo, facendosi trovare fresco in tavola per la pausa pranzo. Eppure no: bocciato, quel depuratore. Non funziona, o funziona male, oppure – signora mia – è capace ma non si applica. Doveva depurare 200 litri di liquido al secondo: invece pare che se ci butti dentro, a secco, tre gocce di Acqua di Sirmione, va in tilt, piange e chiama la mamma.
A leggersi un po’ di carte non è che ci si capisce molto, occorre fidarsi della traduzione dell’Arpac che dice che è colpa dei fanghi, che non vengono smaltiti per un difetto strutturale. E il tutto fa che quasi due terzi dei reflui non trattati vada a capofitto nel Tusciano, e di lì dritto a mare. Insomma, come c’era scritto su una storica lapide, “stavo bene, per stare meglio mi trovo qui”.
Un errore grossolano da imputarsi, dicono, direttamente in capo al Ministero dell’Ambiente, incaricato della progettazione. E ok: della progettazione, però, non della realizzazione. Non della direzione lavori, non del collaudo. C’era o no, una possibilità su un milione che questo potenziale malfunzionamento venisse fuori prima della definitiva chiusura dei giochi?
Va be’: c’era, non c’era, chissà chi, chissà come. Quelle domande che sfondano porte aperte e uccidono uomini morti, e altri abusati luoghi comuni del caso. Sono passati sei anni e ancora ci chiediamo perché siamo stati commissariati, vuoi vedere che per un interrogativo così fresco pretendiamo risposte immediate?

18 maggio 2019 – © Riproduzione riservata

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