A spasso d’uomo 

[di Ernesto Giacomino]

Degli attraversamenti pedonali in stile “Motor show” su via Ricasoli ne parlai un annetto fa, quand’erano sbucati dall’oggi al domani sotto forma d’un paio di bacarozzi consecutivi di bitume ammassato, d’un’altezza che originariamente sopravanzava pure il marciapiede. Roba che, all’impronta, pareva buttata là più per una sfuriata del momento che per una reale esigenza collettiva: informe, estemporanea, senza colorazione né segnalazione. Anziché un avamposto di sicurezza, insomma, un tentativo d’emulazione in scala della possenza della diga del Pertusillo.

Poi, vabbe’: calmati i nervi c’è stato qualche livellamento, un’aggiustata. Una verniciata di strisce pedonali a far capire le reali intenzioni del creatore, per quanto inizialmente discutibili. E per quanto, nell’attuale, dagli esiti che si trascinano comunque un sospetto di esagerazione rispetto alla sostanza del problema.

Con una parentesi dubitativa, in tutto ciò; sovvenutami quando, di punto in bianco, m’è capitato di vedere in città un’altra opera d’arte dai tratti non dissimili: in via Carbone, il vicolo di collegamento tra via Buozzi e via Gonzaga. Tu stai lì, sui tuoi dieci chilometri orari e non di più (hai appena sopravanzato uno Stop, dopo una manciata di metri ce n’è un altro, cosa dovrebbe indurti a correre?), e neanche superi l’incrocio con via Bissolati che eccoci là: tra-trac. Altri due bei dossetti consecutivi: spalmati così, di traverso, apparentemente senza un perché. Facciamo, allora, che è la prima volta che ci passi e non ne avevi valutato la portata (né la possibilità d’una presumibile esistenza, in realtà, non essendocene i presupposti): pur a velocità minima sentirai, chiaramente, braccetti e ammortizzatori accorrere a ringraziarti per l’improvviso sollazzo.

E però, smaltito l’attimo della sorpresa, ti viene comunque da apprezzare l’iniziativa: la sicurezza non è mai troppa, ti dici, più lentamente ci costringono ad andare e più in sicurezza mettiamo i pedoni. Per cui t’illudi, ti dici che è cosa buona giusta, pensi a una precisa progettualità dell’amministrazione per la quale gradualmente, un po’ per volta, si finirà per piazzare questi rotolini incatramati un po’ ovunque. Specie per stradine come quelle, belle dense di gente a piedi, in meandri rionali in cui la precedenza è un’opinione e un’accelerata un attentato alla salute.

Come dire: ci conti, che sia così. Almeno all’inizio. Perché poi i mesi passano, ma vedi che tutta l’operazione “pedone giulivo” che t’eri autonomamente immaginato continua a essere relegata là: due rampe di lancio per sci acrobatico in via Ricasoli e due trasversali tronchetti dell’infelicità in via Carbone. Stop, basta: tutto qua. Senza una logica univoca che possa ammantare i fatti d’una parvenza – fosse pure solo accennata – di razionalità. 

Alla fine, quindi, puoi solo convincerti che non si tratti di un’opera dell’uomo. Che quei dossi compaiano così, spontaneamente, autoctoni come la primula di Palinuro: magari per una particolare composizione geofisica del terreno, o per un incrocio di venti notturni che a noi mortali non è dato sentire. O magari, solo per un fatto di compensazione tra lembi d’asfalto che s’elevano da soli, e altri inghiottiti in quelle buche che da decenni non riusciamo a coprire.

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