Via lago di Como

[di Ernesto Giacomino]

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Ovunque ci sia un’allerta meteo, c’è sempre una zona con più allerta delle altre. E un pezzo di quella zona ancora più allerta fra le allerte. Cosicché, zoomando e dettagliando, grazie alle ennesime ultime piogge (perché qua a Battipaglia le cose cattive sono sempre le ultime: discolpano quelle precedenti in un eterno LIFO delle responsabilità) la rabdomanzia ha individuato la zona più congeniale per l’allestimento del prossimo acquapark nostrano: via Como.
Dicesi via Como un vicolo di trenta metri parallelo a via Paolo Baratta, altezza Croce Verde, poco distante dalla parrocchia di San Gregorio VII. Abitato da una centocinquantina di persone, il vicolo in questione si distingue per essere l’unico in cui i residenti sono più esperti di meteo del compianto colonnello Bernacca. Sono obbligati, loro: la più piccola distrazione può essere fatale. Non serve nemmeno che precipiti una di queste – come le chiamano adesso – “bombe d’acqua”, nossignori: basta un comune temporale, purché costante per almeno una mezz’ora. Et voilà: guai, per dire, ad aver lasciato l’auto nel garage seminterrato. O aver dimenticato di mettere i sacchi di sabbia o segatura davanti al portone. Il rischio che quei trenta metri di strada diventino, in pochissimo tempo, un unico pantano d’acqua piovana di vari centimetri d’altezza, si tira dietro la potenzialità di danni, ogni volta, incalcolabili. C’è un palazzo, ad esempio, in cui dopo un acquazzone l’ascensore va puntualmente tenuto fermo per ore (a volte, anche per giorni) in attesa che si asciughi l’impianto. Automobilisti inferociti che si sono ritrovati auto galleggianti (e quindi, sostanzialmente, da buttare). Residenti al piano terra costretti costantemente a ridipingere casa e sostituire i battiscopa.
Osservando quanto il fenomeno fosse tendenzialmente isolato rispetto al resto della città, mi sono inizialmente detto che la colpa fosse dei costruttori di quei palazzi, che magari non c’erano andati proprio di fino, nell’osservare le norme in materia di rischio idrogeologico. Poi, però, mi hanno spiegato che il problema è leggermente più a monte (e, paradossalmente, più semplice): c’è un intoppo strutturale della strada, proprio. Vetustà e inadeguatezza dell’asfalto, combinate con una cattiva modulazione delle pendenze, e il tutto sommato al solito arcano (sempre in voga, di questi tempi) del “non si sa il vero stato di fogne, tombini e caditoie”.
Un cocktail di carenze, insomma, che fa di via Como la vasca di raccolta degli allagamenti di un intero rione. E non da ora: da almeno una ventina d’anni. Chi vive questo disagio dagli inizi, difatti, assicura che in Municipio la storia è nota: come dire che in qualche armadio esisterebbe già un qualche dossier titolato “via Como”. Un faldone di perizie, rilievi, esposti, cause al Comune per tutti i danni provocati dalla presunta inerzia nella faccenda. Per la quale, però, a tutt’oggi, non pare essere mai stata avviata nessuna azione concreta, quantomeno per appurare la veridicità di quanto – ormai da decenni – lamentato dai residenti. O magari, chissà, sarà così piaciuto il fotomontaggio del gommone nel sottopassaggio da farci sperare in nuovi eventi per essere ridicoli sul web.

 14 ottobre 2016 – © Riproduzione riservata
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