Un’inchiesta scomoda

[di Romano Carabotta]

Sabato 5 maggio, nel Salotto comunale, l’associazione Noi tutti liberi e partecipi e la cooperativa sociale Libertà e Partecipazione hanno promosso un incontro: Una Repubblica ferita – La trattativa Stato – mafia, era il nome dell’evento.
Dopo i saluti iniziali del legale Luciano Ceriello, presidente dell’Associazione e Cofondatore della Cooperativa, sono intervenuti Giovanni Occhiello, giornalista del Tg3 Campania, Luigi Alberto Cannavale, procuratore aggiunto del Tribunale di Salerno, e la giornalista Roberta Ruscica, autrice del libro-inchiesta I Boss di Stato. La Ruscica ha concesso un’intervista al nostro giornale.

Nel nostro Paese si ha la tendenza a dimenticare velocemente. Capita che dopo l’acme iniziale, dopo il polverone che si alza in seguito, ad esempio, a libri-inchiesta come questo, si dimentica e si va oltre. Lei ritiene che sia anche colpa delle istituzioni?
«Su questi temi, sulla trattativa Stato-mafia e quello che accadde prima e dopo le stragi del ’92 e del ’93, c’è stata una vera e propria volontà, anche politica. E questo è stato un grave errore, perché ancora oggi noi viviamo gli effetti di questa trattativa».

Lei ritiene che attualmente le istituzioni siano in possesso di un numero di informazioni tale da poter ridurre drasticamente la criminalità organizzata?
«Abbiamo eccellenti uomini e donne delle forze dell’ordine che quotidianamente portano a termine delle operazioni importanti, che cercano di colpire il fortino finanziario ed economico. Noi siamo in Campania, in terra di camorra; molti aderiscono a queste organizzazioni criminali proprio per questioni economiche. Non si potrà mai sconfiggere le mafie, finché ci saranno persone che non avranno la possibilità di lavorare, di trovare una casa, di curarsi. Perché molti ricorrono ai boss anche per avere la raccomandazione per un posto letto in ospedale. E questo è inammissibile».

In questi giorni è stata in diversi istituti, ha incontrato tanti ragazzi. Al di là della retorica e delle belle parole, davvero i giovani possono cambiare le cose?
«Sono un po’ preoccupata, perché i ragazzi che ho incontrato non conoscono molte cose: pochi sanno della strage di Capaci, pochi sanno chi sono i fratelli Brusca. Ma quello che mi addolora è che non sanno neppure chi fosse il procuratore Borsellino o altri uomini che hanno speso la propria vita per questo Paese, che sono morti per noi. Nello stesso tempo, so che ci sono giovani che possono rivoltare tutto questo. Ed io ci credo».

Come ha detto Giovanni Falcone, sembra che qui in Italia si debba morire per essere ascoltati. È ancora così?
«Oggi si muore tutti i giorni nel silenzio e nell’isolamento, che sono forse crudeltà diverse, ma comunque atroci. Ci sono stati dei momenti in cui avrei preferito che mi togliessero la vita, perché per me era una pena insopportabile quella di non poter trasmettere alla gente le informazioni che ricevevo. Le cose nel nostro Paese possono cambiare nel momento in cui muteranno anche nella cabina elettorale, come tante volte si dice. Oggi siamo ad un crocevia: la trattativa sta terminando, ma nello stesso tempo stanno cercando altri personaggi affinché questo non accada. I prossimi tempi saranno importanti per noi che abbiamo un po’ di memoria storica, ma soprattutto per voi. E quello che io e tanti miei colleghi stiamo facendo, lo stiamo facendo proprio per voi giovani generazioni. Ci deve essere una sorta di “tam-tam” fra di noi».

18 maggio 2018 – © riproduzione riservata
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