Scoloriamo tutti i muri

[di Ernesto Giacomino]

In primis, i fatti. C’è un pezzo di gioventù locale che da sola riscatta quel pascolo di ventenni persi che siamo soliti vederci intorno. Ragazzi capaci e volenterosi che in quattro e quattr’otto t’hanno preso e ribaltato una villa comunale (quella di via Domodossola) e l’hanno tirata a lucido manco fosse una fuoriserie da esposizione. Ramazzando, imbustando, togliendo sterpi e pietre, ridipingendo ovunque: recinzione, mura, panchine. L’“Extreme Makeover Home Edition” in salsa battipagliese, magari con l’urlo “autista, sposta quel bus” sostituito da “autista, porta quel bus. Che ti ripariamo anche quello”.

In secundis, le polemiche: e no, e no, che amministrazione è mai questa, ci hanno dovuto pensare ‘sti giovinotti o vivevamo nell’immondizia. Qualcun altro ci ha messo pure l’intransigenza, l’ha intesa come la fatidica scenetta di Totò con Castellani: “io pure lo notavo ma non ci pulivo apposta, mi dicevo voglio vedere questo dove vuole arrivare, e mica so’ Pasquale”. Il vecchio paradosso per cui vai fiero e orgoglioso di pagare le conseguenze di qualcosa, semplicemente perché non ne sei tu la causa. Poi non chiediamoci perché gli psicoanalisti hanno il rolex e la villa al mare.

L’intoppo, comunque è che ci fermiamo al secondo passo: la risoluzione del problema. A chi tocca, a chi non tocca, a chi toccherebbe, chi se n’è dispensato. La causa ci sfugge, o ce ne scordiamo. Forse perché nessuno ha fatto il mio stesso esperimento, tipo mettersi qualche ora in appostamento presso un (raro) muro ancora pulito di un palazzo a caso. E beh: risultati assurdi, strabilianti, fantascientifici. Puoi stare lì un’eternità, e niente: le scritte a spray non compaiono da sole. Non spuntano dritte dall’intonaco, tipo per una reazione allergica col tempo afoso, no no. Assurdo a credersi, ma c’è gente con la bomboletta che va là e ce le piazza apposta: fragolina ti amo, foruncolina ti odio, io e te tre metri sopra il cielo (vi auguro almeno che piova forte).

Altro enigma, per dire: i vuoti di birra infilati sui muretti. Ero certo fosse per quell’antico processo di trasmutazione della sabbia in vetro: il silicio che s’ingrumisce, fa una forma che inizialmente è pietra, poi il vento ci dà di smerigliatura e ne affusola il collo. E invece, macché, secoli di ipotesi scientifiche andate al macero. Perché ho scoperto che, prima di quei vuoti, a quelle birre ci sono attaccati uno o più tizi. Discendenti, pare, di quell’antica dinastia pre-barbara occupante queste terre tra il IV e il I secolo a.C.: gli imbecilli.

Ecco, voglio dire: smazziamoci pure, a individuare chi deve risolvere il problema. Ma il grosso delle energie dedichiamolo a evitare di crearlo, no? Sarebbe meno dispendioso, faticoso, irrazionale. Se per gioco do a craniate contro un muro e poi il neurologo della mutua non mi sa curare, ok, butto giù tutta quella solfa sull’incompetenza e gli stipendi pubblici sprecati, ma nel fondo-fondo devo comunque ricordare che il mal di testa è colpa mia, della mia incoscienza, magari del fatto che non so ancora distinguere il polistirolo dal cemento armato. Insomma: quelle capocciate senza senso potevo risparmiarmele. O magari, a volermi per forza far male, dirigerle altrove.

27 marzo 2015 – © Riproduzione riservata

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