Noi al tempo del coronavirus

[di Anna Cappuccio, psicologo clinico, psicoterapeuta]

I recenti avvenimenti legati all’emergenza del coronavirus ci hanno messo di fronte a un nemico invisibile e silenzioso e per questo avvertito molto subdolo e minaccioso, capace di risvegliare dentro di noi la paura di perdere il controllo della nostra vita e di noi stessi. È una paura profonda che ognuno si porta dentro, sedata negli anni grazie allo sviluppo tecnologico e all’espansione del digitale che hanno contribuito a costruire in noi la convinzione che tutto fosse possibile, che tutto potesse essere immediatamente raggiungibile e realizzabile. L’esperienza di queste settimane intacca le nostre certezze faticosamente portate avanti e infligge una ferita profonda alla nostra immagine di homo faber moderno.  
La percezione di una situazione poco controllabile, rimarcata costantemente e a gran voce dalle notizie diffuse dai mass media, ha portato inevitabilmente a un aumento dei livelli di stress e dei vissuti di ansia. Vissuti che si amplificano, interagendo con la paura dell’ignoto, di fronte ad una situazione avvertita ancora come sconosciuta e poco definita.
L’ansia ci porta a distorcere la percezione della realtà e di conseguenza la percezione del pericolo, sfociando in poco tempo in attacchi di panico. Le sensazioni di panico risultano estremamente invasive e possono annebbiare le nostre capacità cognitive, spingendoci verso comportamenti irrazionali e poco adeguati per una corretta gestione dell’emergenza. Per di più, quando i vissuti di ansia si prolungano nel tempo, le nostre difese immunitarie si abbassano, rendendoci più vulnerabili ed esposti.
Ci sentiamo smarriti, disorientati, senza più i punti di riferimenti acquisiti fin da bambini, siamo costretti a rimodulare il rapporto con gli altri, l’organizzazione lavorativa, gli impegni di vita. Tutto questo è avvertito come una frattura identitaria tra quello che ero e c’era prima dell’emergenza e quello che sento di essere ora. Non è facile la situazione che stiamo affrontando, ma un atteggiamento emozionale valido può aiutare noi e le persone vicino a noi. Un atteggiamento positivo e non di abbattimento, infatti, non allontana la paura, ma la rende meno invasiva, non elimina il rischio, ma ci permette di strutturare comportamenti adeguati. Soprattutto, un atteggiamento psicologico positivo e fiducioso ci permette di trasmettere fiducia ai nostri figli che percepiscono la realtà attraverso noi e le nostre reazioni. Per questo è necessario riuscire ad essere mediatori del pericolo rispetto ai bambini in modo che questi possano vivere le emozioni in una forma adeguata alle loro capacità cognitive. Se le emozioni sono troppo intense e invasive lasceranno nel bambino i segni di un evento traumatico che potrà avere ripercussioni negli anni, anche in tempi lontani da questa emergenza.
La più grande sfida per noi è proprio questa, non focalizzarsi esclusivamente sull’emergenza, ma aprire lo sguardo per vedere che, nonostante il virus e la paura, continuano ad esistere possibilità di vita.

20 marzo 2020 – © Riproduzione riservata

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