Metamorfosi | di Ornella Cauteruccio

La stanza era volutamente in penombra, nonostante fuori fosse ancora pieno giorno: un luminoso pomeriggio di fine maggio, allietato dal vociare indistinto dei ragazzini nel parco e dal canto sparuto, ma limpido di qualche merlo cittadino. Clara era infastidita da quel brusio perché la leggerezza che ne emanava cozzava impietosamente contro la pesantezza del suo umore. L’armadio spalancato aveva le sembianze di un mostro mitologico che rideva di lei, senza ritegno, mentre continuava a sputare abiti che finivano inevitabilmente sul pavimento. L’imponente specchio dalla cornice barocca, acquistato a Firenze durante il viaggio di nozze, continuava insolente a rimandarle un’immagine che lei non riusciva più a riconoscere come la propria. Già da qualche anno, dopo aver superato gli “anta” per la precisione, aveva notato dei cambiamenti, senza preoccuparsene più di tanto… fino a quell’inizio estate, quando realizzò di avere subito una irreversibile metamorfosi. Avvertiva una lacerazione insanabile, una dicotomia dolorosa tra la donna che sentiva ancora di essere e quella oramai avviata verso il crepuscolo in cui il tempo l’aveva trasformata. Era arrabbiata: mentre guardava la sua nuova immagine riflessa, si sentiva inadeguata, debole, insicura… dov’era finita tutta la sua sicurezza? Mentre le spuntava una lacrima si sentiva defraudata da quella stessa vita che finora aveva divorato con la sua imperitura spavalderia felina.  Necessitava un espediente per riuscire ad ingannarla, per riappropriarsi della forza perduta. L’indomani sarebbe andata in quel centro estetico all’avanguardia e poi da quel nutrizionista famoso, passando per un cambio drastico del guardaroba. Avrebbe lottato contro il tempo con tutte le sue forze e avrebbe vinto, ne era sicura!
Indossò velocemente una tunica di seta gialla con stampa floreale e un paio di sandali alti con la zeppa: tutto sommato l’immagine riflessa era gradevole e fresca, poteva uscire per accompagnare Nina alla lezione di danza.
Nina era alta per i suoi dodici anni. Fino a pochi mesi prima era anche magra come un chiodo e gironzolava con un’andatura dinoccolata e acerba; all’improvviso, però, qualcosa era cambiato e prima ancora che attraverso lo specchio rosa in camera sua, lo aveva capito dalle nuove e continue attenzioni provenienti dal mondo maschile. Si sentiva terribilmente inadeguata dentro quel nuovo corpo che continuava a cambiare. Così come si sentiva fuori posto ogni volta che usciva con le amichette con le quali avrebbe voluto soltanto parlare di bambole e cartoni animati. Doveva esserci un diavoletto maligno nascosto da qualche parte dentro il suo corpo che si prendeva gioco di lei: l’unico modo per sconfiggerlo era nascondere quello scempio indossando abiti dalle fogge improbabili in attesa che una dieta drastica la riportasse alla magrezza di prima ed evitando, nel frattempo, di uscire il più possibile dalla sua rassicurante cameretta. Forse, un giorno, si sarebbe abituata al suo nuovo aspetto, ma per il momento si odiava profondamente e il suo unico desiderio era scomparire dalla faccia della terra.
Sentì sua madre che la chiamava. Infilò il body e arrabattò alla meglio uno chignon sbilenco. Dopo aver indossato la solita felpa nera extralarge, lanciò un’occhiata disgustata alla sua immagine riflessa e uscì sbattendo la porta.

27 giugno 2020 – © Riproduzione riservata

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