Lo stallo dell’arte

Boh, o è una mia impressione o ultimamente accuse e lamentele sulla vivibilità battipagliese paiono moltiplicarsi di giorno in giorno alla velocità dei neutrini nei laboratori del Cern. Dall’evergreen sugli olezzi dei gestori di rifiuti ai reportage fotografici su incuria e degrado urbano, tutti paiono voler partecipare attivamente alla messa in piazza d’ogni minimo disagio patito, dalla monnezza non ritirata alla fontanella essiccata, passando per avvistamenti sempre più frequenti di blatte, pantegane, zanzare assassine, gnu pezzati, alieni grigi e t-rex riesumati con sacrifici vodoo.
Recriminazioni, divagazioni, mini dibattiti in ogni dove. Se becchi più di due condomini sullo stesso pianerottolo è meglio filartela o rischi d’essere ingaggiato al volo come assistente di palco dell’imminente comizio in sala caldaie. Una strisciata di pneumatico al marciapiede può essere foriera d’interrogazioni parlamentari circa il rispetto cittadino del grado d’angolatura standard degli incroci ai sensi d’una qualche misconosciuta convenzione CEE. E si mormora che, in certe frange particolarmente sensibili della popolazione, il classico detto “piove, governo ladro” sia già stato mutuato in locuzioni vittimistiche del tipo “piove: come mai a Bellizzi no?”, “piove: sicuri che sia acqua?” e annesse variazioni sul tema.
Sto dicendo che i probemi non ci sono? Ma no, quando mai. È solo una riflessione folcloristica sul come s’è un po’ tutti inclini, sempre, a distanziare quelle due asticelle contrapposte – gravità e facilità di risoluzione – nella maniera che più si adatta alla nostra percezione dei fatti. La macchina comunale è un’istituzione complessa, con logiche ed equilibri che non sempre conosciamo. Assai diversi dai meccanismi di giudizio applicabili, che ne so, al rendimento della squadra del cuore, dove se il centravanti cicca il pallone, o l’allenatore sbaglia la formazione, in ultima istanza puoi sempre e comunque prendertela col presidente, che resta il padrone della baracca e quindi responsabile in primis di qualsivoglia effetto scaturisca, direttamente o meno, dalle sue decisioni.
In politica funziona diversamente, ci sono le deleghe. Alle volte un sindaco le dà, altre volte le trova già date. In ogni caso, sono atti che responsabilizzano in toto chi le riceve, assegnandogli importanti capacità decisionali in tema di mezzi e risultati. E dalle deleghe scaturiscono dirigenti, capisettore, coordinatori, collaboratori a vario titolo e grado: interi organigrammi, con una stratificazione precisa di ruoli e responsabilità. Il che, però, messo in pratica quaggiù da noi, spesso si traduce nel più sgradevole termine di nicchie di potere. Permeabili in un solo senso, dall’interno all’esterno e mai al contrario: a delega data (o trovata), stop, influenza dall’alto scarsa se non nulla.
Come dire che raramente mi è capitato di ascoltare sindaci in colloqui informali, ma quelle poche volte m’hanno dato comunque l’impressione di persone sole, in costante lotta contro lobbies, omertà, bidelli wertmülleriani che si proclamano al di sopra dei presidi e sbandierano il diritto esclusivo di suonare la campanella.
Forse val la pena pensare anche un po’ a questo, quando si formulano giudizi. Perché “il pesce puzza dalla testa”, sì, ma solo quand’è marcio. Viceversa, andrebbe data un’occhiata seria a quello che ha in corpo.

12 ottobre 2018 – © riproduzione riservata
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