L’anima e il vestito di un libro

[di Daiberto Petrone]

Quando ho saputo della presentazione del libro Saluti da Battipaglia ho immediatamente annotato data ed ora dell’evento; non perché io sia un assiduo frequentatore del salotto di città, ma perché mi è tornato alla memoria la mostra fotografica Battipaglia Amarcord organizzata qualche tempo fa da Nero su Bianco nella scuola De Amicis, che ebbe notevole successo non solo per la nutrita partecipazione, ma per gli innumerevoli apprezzamenti espressi trasversalmente dai cittadini di ogni ceto. Il racconto per immagini di quella mostra che attraversava oltre sessant’anni della nostra storia recente offriva uno spaccato decisamente affascinante del “come eravamo”.
Avendo letto Saluti da Battipaglia, mi sono convinto che non sia solo l’ideale prosecuzione di una idea di ricordare per immagini il passato – quasi un filo rosso – ma costituisca sicuramente il tentativo originale di scrivere pezzi di storia della nostra città, restituiti, intatti, da una cartolina illustrata, cui sono stati affidati particolari momenti di vita di relazione del genere più disparato. Per questo mi permetto di dissentire dall’autore, allorquando nell’introduzione al libro, afferma che il suo “non è un libro di storia”. Infatti, se il lettore si limita a scorrere le fotografie come quelle di un vecchio album di famiglia, ne ricaverà uno spaccato per immagini del paese di una volta: strade, piazze, edifici scolastici, cinema e quei negozi con insegne mai banali.
Ma, se si ha voglia e curiosità di approfondire i costumi dell’epoca, basta soffermarsi anche sui testi delle cartoline, che ci restituiscono atmosfere d’altri tempi: pensieri dedicati all’amata, semplici o formali comunicazioni, ringraziamenti, meri convenevoli e anche, alcune, di plauso per le imprese del passato ventennio.
L’insieme delle immagini e dei messaggi affidati alle cartoline aiuta a  contestualizzare tanti eventi di vita vissuta che, insieme, ricostruiscono pezzi di storia di vita cittadina, di costumi e comportamenti.
Il libro è davvero bello, belle le cartoline e le fotografie, non solo per le inquadrature e il fascino del bianco e nero, ma soprattutto perché, tutte, trasmettono emozioni, restituendoci, intatti, panorami e immagini scomparsi per sempre, anche per l’insensibilità di coloro che, in nome del nuovo che avanza, hanno ottusamente cancellato luoghi della memoria ed importanti segni della storia del nostro paese.
Bella anche la veste grafica, la carta, la stampa. Quando ho visto il libro ho capito perché Jhumpa Lahiri, premio Pulitzer per la Letteratura, ha ritenuto di scrivere un piccolo saggio Il vestito dei libri.

27 luglio 2018 – © riproduzione riservata
Facebooktwittermail