La mia Africa | di Roberto Capasso

La mia vita “africana” iniziò nel 1994 con una serie di viaggi effettuati con il WWF (Fondo Mondiale per la Natura). Erano campi educativi in ambito naturalistico-umanitario in collaborazione con “Fratelli dell’Uomo”, Organizzazione Non Governativa di Milano che operava in Camerun in progetti agricoli. I viaggi in Camerun mi avvicinarono alla gente e alla cultura africana e mi contagiarono a tal punto che imparai a conoscere il cosiddetto “mal d’Africa”, che è come una specie di “stregoneria” positiva che ti prende e non ti lascia più. Allora capii che dovevo tornare in Africa per fare qualcosa di più per la gente, soprattutto per i bambini. Dopo aver frequentato un corso di un anno e mezzo al PIME di Milano (Pontificio Istituto Missioni Estere) per volontari laici, conobbi un’altra ONG, Cooperazione e Sviluppo di Piacenza, con la quale iniziai nel 2000 ad andare in Uganda come volontario. Un’esperienza durata fino al 2011, tanti anni trascorsi a lavorare in una terra meravigliosa in progetti educativi per bambini e giovani. Ma anche momenti di angoscia trascorsi durante i viaggi in nord Uganda negli anni della guerra dei ribelli di Kony, che in oltre 20 anni hanno provocato oltre centomila morti, rapito migliaia di bambini (costretti a diventare soldati e a commettere atti atroci), due milioni di persone scappate dai villaggi e sfollate nei campi. Durante le operazioni di distribuzione di cibo nei campi e negli ospedali, ho potuto vedere il terrore e l’angoscia nei volti della gente. Ma la cosa più sconvolgente era vedere la lunga fila di bambini che al tramonto lasciavano i villaggi per andare a rifugiarsi in città (era di notte che i ribelli attaccavano per distruggere i villaggi e portare via i bambini per ingrossare le file del loro esercito). In tutti questi anni in cui mi sono dedicato ai bambini ugandesi, dopo un lungo periodo trascorso come responsabile di un Centro Giovani a Moroto, un villaggio del nord Uganda, ho deciso che era arrivato il momento di cambiare. Consideravo la mia esperienza con Cooperazione e Sviluppo ormai alla fine.

Ho deciso quindi di fare il “volontario indipendente”, sono tornato a Kampala, la capitale ugandese, dove ho cominciato a dare una mano in un orfanotrofio che si trova all’estrema periferia della città, Nateete, una delle zone più povere e insicure. Questa nuova esperienza mi ha insegnato che spesso nelle grandi metropoli africane la vita è più dura che nei piccoli villaggi della savana. Ho girato tra le baraccopoli di Kampala dove la povertà regna sovrana. Kampala negli ultimi anni si è sviluppata considerevolmente, è abitata da circa due milioni di persone, sono sorti centri commerciali, eleganti quartieri residenziali e centri per uffici, ma esistono purtroppo anche immense baraccopoli (slum) dove vivono parecchie migliaia di persone in condizioni di estrema povertà. Decine e decine di bambini di strada sono presenti lungo le vie della città a chiedere l’elemosina, non si conosce il loro numero preciso ma sicuramente sono diverse centinaia (il governo ha affermato che non è problema di sua competenza, e di chi allora?). Per fortuna alcune associazioni laiche e religiose si occupano di loro, ma il numero dei bambini nelle strade continua a crescere.

Attualmente cerco di dare una mano in un orfanotrofio fondato da due preti protestanti. Ci vivono 75 ragazzi e ragazze, con un’età che varia da 1 a 17 anni. Le condizioni delle strutture sono molto fatiscenti per non parlare delle condizioni igienico-sanitarie.

Non c’è acqua corrente, spesso la luce viene tagliata per mancanza di soldi, 61 ragazzi frequentano le scuole elementari e superiori ma occorrono i soldi per le tasse scolastiche che purtroppo spesso non riescono a pagare. Anche il materiale didattico scarseggia. I ragazzi e le ragazze vivono in due casette separate molto piccole, con pochi letti a castello (in ogni letto dormono due persone). Grosso problema è il cibo. Non è facile dare da mangiare ogni giorno a 75 ragazzi. Spesso mangiano una sola volta al giorno. La malaria e altre malattie spesso colpiscono i bambini, ma l’orfanotrofio non ha i soldi sufficienti per pagare le visite mediche e i medicinali. Ma l’orfanotrofio non ha solo bisogno di aiuto materiale, forse ancora più importante è il calore umano di persone esterne che possano dare una mano e soprattutto stare con i ragazzi e aiutarli a crescere nella loro vita quotidiana. Sono quasi tutti orfani, solo 4 di loro sono stati abbandonati per strada, sentono tanto la mancanza dei loro genitori. Questa esperienza che ora sto vivendo con i ragazzi dell’orfanotrofio è sicuramente molto impegnativa e difficoltosa, certamente più delle attività precedenti che svolgevo con l’appoggio di un’organizzazione italiana alle spalle. Ora vado avanti solo con le mie proprie forze, collaborando con i due pastori protestanti, ma devo dire un grosso grazie soprattutto alla mia famiglia meravigliosa che mi appoggia in questa vita africana, e ai tanti amici italiani che mi danno una mano nella raccolta fondi. Ma è veramente dura. Spesso in Africa si trascorrono momenti difficili durante i quali la forza di andare avanti viene meno e si ha voglia di lasciare tutto e tornare alla vita normale italiana, ma la fede nel Signore fa superare ogni ostacolo e si continua nel proprio cammino. Un cammino che vorrei augurare a tanti, soprattutto ai giovani, perché decidere di intraprendere la strada del volontariato per offrirsi agli altri è una cosa meravigliosa, ed è il dono più grande che Dio ci ha dato.

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