Il ritorno in piazza


È il 10 giugno 2017 quando la sindaca scende in piazza. Sono trascorsi 372 giorni dall’ultimo comizio, a piazza della Repubblica, due giorni prima del ballottaggio. Anche allora, sul palco, alle spalle di Cecilia Francese, c’era un gruppo di persone: erano quelli che, con la sua elezione, sarebbero diventati consiglieri.
E c’era Ugo Tozzi, che poi sarebbe diventato vicesindaco, e alla fine del comizio di un anno fa la Francese aveva levato i pugni al cielo insieme a quelli del suo alleato: a stringer tra di loro i pugni dei due, su quel palco, c’era Giuseppe Provenza, assessore in futuro e coordinatore politico di Forza Italia, il primo partito politico che aveva sposato la causa della futura sindaca. Il 10 giugno 2017, sul palco di piazza Amendola, Provenza questa volta non c’è: c’è chi dice che è assente, chi l’ha visto tra la folla. Su quelle tavole di legno, però, l’assessore ai lavori pubblici non c’era: durante le riunioni del giorno prima e di quello ancor prima, i consiglieri di maggioranza ne avevano richiesto la testa alla sindaca. Non c’erano neppure i forzisti Valerio Longo e Gerardo Zaccaria e neanche Francesco Marino e Bruno Amendola di Rivoluzione cristiana. Assenze che pesano. E dalle parole della sindaca lo si evince a chiare lettere. «Non posso accettare che siano pezzi della maggioranza a sputare veleno su quest’amministrazione», urla la Francese. Stilettate ai frondisti che, nei giorni precedenti, avevano sottoscritto note di malcontento, comunicati al veleno e riservate non molto riservate, e che avevano addirittura disertato l’aula consiliare nel fatidico giorno dell’approvazione del rendiconto. «Chi vuole stare in questa maggioranza, deve avere il coraggio delle pubbliche scuse per le offese arrecate alla sindaca», ribadisce la Francese, e stizzita aggiunge: «Io non trattengo nessuno». C’è da fare i conti con una «coalizione eterogenea, che però s’è riunita attorno a un programma», e allora la sindaca lancia un ultimatum: «Chi non è su questa lunghezza d’onda, e pensa di giocare al logoramento del governo cittadino o di potermi ricattare, ha sbagliato strada, e pone le condizioni perché le nostre strade si dividano». Parole grosse, che s’aggiungono ad altre espressioni al vetriolo: «Non sono qui per favorire forme di mercanteggiamento o per perdere tempo in estenuanti riunioni, più o meno riservate, alla ricerca di equilibri mai definiti ed accettati», dice, e poi parla di «vecchie logiche», di «vecchi metodi fallimentari», spiegando che «non c’è tempo da perdere rincorrendo i contorsionismi di qualche stratega politico dell’ultim’ora o i mal di pancia di qualche logora figura». Strali pure all’opposizione. A Gerardo Motta, ritenuto «un’espressione ormai sorpassata della politica battipagliese», replica: «Non abboccherei al suo amo neppure se fossi a digiuno da dieci anni e lì ci fosse l’unico boccone di cibo nel raggio di dieci chilometri». Lacrime per «la famiglia trascurata», e poi la solidarietà ai suoi, «in particolare a Michele Gioia e Stefano Romano, costantemente al centro d’attacchi». Altre stoccate alla fronda, ma il giorno dopo Longo dirà di non sentirsi chiamato in causa. E lo stesso sosterrà pure Provenza. La sindaca, poi, rivendica i meriti di alcuni atti: «Abbiamo elaborato il nuovo Statuto comunale e i regolamenti, e li approveremo entro l’estate; abbiamo sbloccato le assunzioni dei tre nuovi dirigenti, e entro luglio arriverà quello ai tributi; abbiamo risolto il pasticcio burocratico riguardante il depuratore e abbiamo riavviato i discorsi sul PIU Europa». È solo un estratto del lungo excursus della Francese, che, alla fine, fa un duplice annuncio su Alba: «Entro l’estate il bando per selezionare l’amministratore delegato, e poi un altro bando per selezionare un socio privato che investa nella nostra società». E l’ultimatum ai dissidenti: «Chi non ci sta, sa la porta dove sta…».

16 giugno 2017 – © Riproduzione riservata
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