Il partito del pensare

[di Francesco Bonito]

Ci sono circa sessanta persone che ogni giorno lavorano per Battipaglia, per noi battipagliesi. Si tratta di persone direttamente o indirettamente scelte dai cittadini per amministrare la città: il sindaco con il suo staff (circa venti), i consiglieri comunali (trenta) e gli assessori (altri dieci): totale sessanta, più o meno. È evidente che hanno responsabilità e poteri diversi ma, con una generalizzazione che mi perdonerete, sono tutti delegati da noi cittadini ad occuparsi di Battipaglia: perciò per comodità e sintesi li chiamerò i delegati.

I delegati stanno facendo molto per Battipaglia, bisogna ammetterlo: solo negli ultimi mesi hanno completato una serie di opere e di interventi che aspettavamo da anni: il nuovo svincolo autostradale, la stazione ferroviaria, il palazzetto dello sport, la viabilità in zona industriale, diverse rotatorie che hanno snellito il traffico, i marciapiedi lungo importanti strade del centro, giardini e campetti sportivi nel quartiere S. Anna… e tanti altri che per non annoiare vi risparmio. Molti sono stati anche gli interventi di manutenzione (alcuni sollecitati da Nero su Bianco) come la “ripulitura” del sottopasso di via Roma e del cortile della ex scuola De Amicis. Bravi! I nostri sessanta delegati hanno fatto davvero molto (tantissimo in confronto a quello prodotto dalle precedenti amministrazioni) e questo bisogna riconoscerlo con onestà di giudizio, così come altre volte da queste colonne sono partite critiche al loro lavoro.

Hanno fatto molto, ma non abbastanza. Non abbastanza perché la maggior parte degli interventi sono fatti di cemento, asfalto, ferro; sono tutte opere necessarie alla città, ma tutte esclusivamente materiali. Cosa manca nell’agenda dei delegati? Cosa devono ancora realizzare e cosa serve di più ai cittadini? La cultura. Questa risposta è gridata da tempo da molti, da vari ambienti e in modo insistente. I delegati occupati a progettare, finanziare, costruire e inaugurare opere materiali, hanno dimenticato il bene immateriale per eccellenza, il valore che distingue una comunità da un dormitorio. Questa voglia di cultura è stata gridata e confermata nell’ultima settimana più volte, nel corso di tre serate dedicate alla presentazione di tre libri che trattavano del rapporto tra potere e società; serate dense di contenuti (e affollate di persone interessate) in cui molti cittadini hanno discusso con gli autori e hanno testimoniato che esiste una domanda crescente di avvenimenti culturali in città. Ora, per soddisfare questa fame virtuosa non è indispensabile spendere decine di migliaia di euro – come spesso si fa per finanziare progetti discutibili – ma è sufficiente avere maggior attenzione e rispetto per gli operatori culturali e per le loro iniziative. Basterebbe che gli assessori sentissero il piacere-dovere di partecipare agli eventi culturali (non presenziare, ma partecipare!), o che il sindaco delegasse una mezza dozzina dei componenti del suo staff (ne resterebbero ancora una dozzina intera per l’ordinaria amministrazione) a seguire la preparazione e lo svolgimento degli eventi, oppure che i consiglieri comunali facessero sentire il loro apprezzamento a chi, a vario titolo, propone cultura in città. E poi, lasciatemelo dire: cultura significa anche sensibilità ed educazione. Cultura vuol dire non escludere l’unica donna presente in giunta, promotrice di un encomiabile lavoro finalizzato al riconoscimento delle “pari opportunità” (evidentemente non portato a termine, visto l’esito), significa avere rispetto del ruolo dei consiglieri comunali (e non ridurli ad alzatori di mano), significa non tagliare i fondi destinati agli eventi culturali per finanziare un giornalino-megafono dell’amministrazione comunale! Scrivo questo non per censurare un’omissione, ma per stimolare un’azione. Invito i nostri sessanta delegati a far meglio, a impegnarsi anche in questo campo con la determinazione e le energie abitualmente dedicate alle cose materiali. Non solo azione, anche pensiero. Qualcuno ha convinto gli Italiani che ci vuole il partito del fare: ma a volte farebbe piacere vedere all’opera anche il partito del pensare.

30 settembre 2011 – © Riproduzione riservata

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