Chicane che abbaia…

[di Ernesto Giacomino]

Non so se tutti hanno presente come si usa, in automobilismo. La famosa safety car, voglio dire. Si fa un incidente, si sporca o ingombra la pista, occorre pulire prima di riprendere la gara. Per non spezzare il ritmo e litigare con motori che s’imballano e gomme che si freddano, le macchine continuano comunque a girare. Ognuna nella sua posizione, senza poter sorpassare o essere sorpassate. Tutte lente, dietro un’auto capofila – “borghese”, cioè non da corsa – che si fa entrare apposta per dettare la velocità alle altre. La safety car, appunto.

Ecco: ora, se la metafora non ha reso l’idea, o siete poco avvezzi di Formula Uno o sono davvero un cattivo narratore. Andando a spiegare: la corsa è l’amministrazione battipagliese, l’incidente le infiltrazioni camorristiche, la safety car il pool di commissari prefettizi chiamati a traghettarci alle elezioni. Fino, per l’appunto, alla ripresa della gara.

Eppure no, c’è qualcosa che non va. Guardaci, dietro quella safety car, e manca il meglio. Manca il rombo dei motori, il zigzag delle gomme, il chiacchiericcio via radio tra meccanici e piloti. Dietro questa parentesi di stasi, di pulizie, di riparazione, manca quello che avrebbe dovuto fare più rumore e colore di tutto: la politica. L’auto apripista gira da sola, dietro non c’è più nessuno, le monoposto sono ai box. Qualcuna ancora calda, altre a motore spento, parecchie addirittura già con il telone antipioggia e le gomme smontate.

Che succederà, quando ci diranno che potremo tornare a votare? Niente. Occorrerà farle tornare in sesto, quelle auto. Ricollaudarle, metterle a punto, farle riscaldare. Tutto daccapo; e tutto, probabilmente, nella solita maniera caotica e arrangiata: una corsa improvvisata alla candidatura, un’infilata al volo di casacche scegliendole, più che per la sacralità del colore, per il comfort e l’attinenza con la moda del momento.

Spaesati, ecco qua. Perché oggi, fatto salvo qualche focolaio programmatico in questa o quella conferenza stampa, qua a Battipaglia nemmeno sappiamo più chi corre con chi: “ma Tizio che stava col Pd e poi col Pdl ma s’era scisso per andare con Forza Italia prima di passare all’UDC, adesso, in che partito è?” “Boh, io so che s’è aperto una rosticceria”.

A sipario calato sono spariti i protagonisti. I futuri piloti. I circuiti di allenamento, le prove libere, le qualifiche. Le decine di persone che quando s’era in gara e guardavano gli altri correre sapevano esattamente cosa avrebbero fatto al loro posto. Quelli che riempivano sale, manifesti, pagine di giornale.

Potevano essere anni di pace, questi, in cui – al riparo dai toni tipicamente esasperati delle campagne elettorali o delle contrapposizioni in consiglio – i partiti avrebbero potuto parlare, dialogare, progettare con la comunità in una maniera eccezionalmente serena. Del tipo: fatevela ora, un’idea di noi. Ora che possiamo scoprire il nostro lato migliore, che non c’è l’imbarbarimento della competizione. Prepariamocela insieme, questa lunga veglia fino alle elezioni. Magari ci arriviamo tutti più consci e decisi, alle urne. Senza dover, anche stavolta, optare per l’unica alternativa passabile: la scelta del male minore.

13 novembre 2014 – © riproduzione riservata

Facebooktwittermail