Caparozza

[di Ernesto Giacomino]

Ci si indigna giustamente per la “capata” di Spada al giornalista di Nemo, ci si illude ingiustamente che Ostia sia lontana e che il problema sia isolato.
In realtà no, credere che sia roba che capita solo agli altri denota, a scelta, o aver capito poco del contesto in cui viviamo o averlo talmente metabolizzato nel dna da ritenerlo normale. Nessuno, qua, sconterà mai le conseguenze del fatidico giornalismo scomodo o “d’assalto”, semplicemente perché – almeno al momento – restiamo ancora troppo piccoli e insignificanti per meritarlo. Ma quanto alle potenziali reazioni a domande scomode, e beh, alzi la mano chi davvero crede che di personaggi simili, per le nostre strade, non ne razzolino.
Peraltro, già la sola storia politica battipagliese ce ne restituisce a mazzetti, di politici border line particolarmente inclini alla violenza: magari non sempre fisica (per quanto restino nella memoria certi scambi di ceffoni in piazza o le risse tra poltronanti davanti al Municipio), ma sicuramente dialettica, quando non morale o indecentemente mediatica.
Un problema, in realtà, che parte da più lontano, da ambiti non necessariamente adiacenti a quello politico: società, scuola, famiglia. Tradizioni, pure. Perché, non scordiamocelo, le cattive abitudini sono figlie (e non madri) della mentalità di un popolo. La stessa per cui, quaggiù, il livello è solito degenerare anche per una precedenza non data in un incrocio.
È roba di cui vado ciarlando da anni, ormai: cercare il metodo mafioso solo nello stile guappo o nella facilità di venuta alle mani svia erroneamente il concetto dalla sostanza alla forma, dando una parvenza di pulizia a roba che pulita non è. C’è un metodo mafioso, semplicemente, quando si sfrutta una posizione di forza per ottenere un vantaggio che non spetta: quando si comprano i voti promettendo condoni, quando s’insabbia una pratica per accelerarne una dell’amico, quando si scavalca la coda in banca perché c’è feeling prezzolato col direttore, quando ci si occupa impunemente il posto auto con la sedia o il “cascettino”, quando una tv fa uno speciale al solo scopo di sputtanare un giornalista che ha parlato male del padrone.
Abbiamo alle spalle annate piene di dispettucoli e vendette trasversali tra politici locali, o loro contro altri, o gli altri contro tutti: denunce anonime, firme contraffatte, manifesti d’ingiuria, minacce pubbliche o private, querele e controquerele, famiglie distrutte da pettegolezzi e illazioni.
Anche questo modo di fare è violenza, non certo dissimile da quella fisica: almeno, non negli effetti. È la pretesa di voler affermare un potere che non si ha; o, se c’è, è di certo per scopi più nobili di quello per cui lo si utilizza. Per cui, poco da fare: pure quella del vicino che se ne sbatte delle regole condominiali è violenza, come l’assenteismo dell’impiegato pubblico, come lo sparire per negozi con l’auto in doppia fila, come firmare una vergognosa petizione per tenere fuori dalla classe un bimbo meno dotato.
Il nostro Spada, insomma ce lo abbiamo anche qui, ovunque, un po’ tutti. E per riconoscerlo non è necessario che tiri testate. Basta che la testa – dalla sabbia – la tiriamo fuori noi.

24 Novembre 2017 – © Riproduzione riservata
Facebooktwittermail